Jacopo da Pontormo, la mostra del 1956

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MOSTRA DEL PONTORMO

E DEL

PRIMO MANIERISMO FIORENTINO

SECONDA EDIZIONE

FIRENZE

PALAZZO’ STROZZI 24 MARZO – 15 LUGLIO 1956

NOTIZIA DEL PONTORMO

 

Nato nel 1494 a Pontorme (Empoli), da un pittore fiorentino seguace del Ghirlandaio, Iacopo Carrucci rimase presto orfano. Sistemato a Fi­renze presso un parente, studia nelle botteghe di Leonardo da Vinci, Piero di Cosimo, Mariotto Albertinelli; circa il 1512 passa sotto Andrea del Sarto, e collabora ai suoi lavori, tra l’altro dipingendo, col Rosso, la predella della Annunciazione di Sangallo (c. 1512). Debutta nel 1513-4 con l’arma dì Leone X sul portico della Nunziata. Separatosi allora da Andrea, si va affermando in successive commissioni: così nel ’15 affresca la Sala Papale in S. Maria Novella, nel ’16 termina l’affresco con la Visitazione nel chiostrino della Nunziata, nel ’18 dipinge la pala dei Pucci in S. Michele Visdomini; contemporaneamente lavora, con Andrea del Sarto, il Granacci, il Bachiacca, a storie di Giuseppe Ebreo per la famosa camera nuziale dì Pier Francesco Borgherini. Del ’18 circa è il ritratto di Cosimo il Vecchio col quale entra in relazione con Casa Medici: questa nel ’20-21 lo chiama a lavorare nella Villa di Poggio a Caiano, dove dipinge una lunetta del salone. Dal ’22 al ’25, con assistente il Bronzino, è assorbito da lavori per la Certosa del Galluzzo: affreschi con storie della Passione nel chiostro grande, e altri dipinti tra cui la Cena in Emaus ora agli Uffizi. Successiva è la decorazione della Cappella Capponi in S. Felicita. L’attività del « Pontormo » prosegue intensa nei generi allora consueti del ritratto, dell’affresco, del quadro sacro (tra cui la pala con S. Anna ora al Louvre); dopo il ’30 egli entra in diretto contatto con Michelangelo, realizzandone in ammirati dipinti il cartone del Noli me tangere e poi quello della Venere e Cupido. Col ritorno dei Medici (1530) riprendono anche le loro commissioni: del ’34-’35 è il ritratto al duca Alessandro (ora Filadelfia, coll. Johnson), che affida al Pontormo, aiutato dal Bronzino e altri, anche la decorazione (perduta) di una loggia nella villa di Careggi (1536); ucciso Alessandro da Lorenzino e successo Cosimo (1537), Iacopo ritrae lui e la madre Maria Salviati, e decora con affreschi (anch’essi perduti) un’altra loggia, nella villa di Castello. Nel 1545-6, col Bronzino, è incaricato di disegnare una serie di arazzi con storie di Giuseppe, ma non incontra successo e si deve limitare ai cartoni di tre, oggi al Quirinale. Dal 1546 al 1556 si impegna in un’ultima grande commissione, gli affreschi nel coro di S. Lorenzo, con le prime storie umane, il Diluvio, la Resurrezione, il Giudizio (can­cellati nel secolo XVIII): vi attende tutto solo, con grandi ambizioni, fino alla morte, al termine del ’56 o il primo del ’57; fu sepolto infatti alla Nunziata il 2 gennaio di quell’anno. Chi ami più colore biografico, può ricorrere alla vita vasariana, del resto attendibile per le informazioni dirette fornite dal Bronzino, che fu vicino al Pontormo da prima del ’20 in poi. Vi troverà quell’infanzia funestata dì morti; i rapidi progressi nell’arte del giovanetto, dì cui Raffaello loda un Annunciazione, e Andrea del Sarto diviene tosto geloso; la continua ricerca dell’artista, che già a Poggio a Caiano « guastando e rifacendo oggi quello che aveva fatto ieri, si travagliava di maniera il cervello, che era una compassione »; e i tratti di quel carattere che apparisce malato, solitario, con le fobìe della folla e della morte, che si costruisce una strana casa e non vuole servitori, che lavora solo quando e per chi vuole, disinteressato del danaro. Ma uno specchio ancor più diretto dell’uomo è forse in quél suo diario pervenutoci degli ultimi anni (1555-6), dove una vita quasi squallida ma tutta dedicata all’arte non richiede che elementari notazioni: il lavoro, la salute, il cibo, il tempo, i pochi amici. Citiamo a caso da una di queste pagine, suggestive proprio perchè così scarne e naturali :

«a dì 30 di gennaio 1555 comincio quelle rene di quella figura che piagne quello bambino. A dì 31 feci quel poco del panno che la cìgne che fu cattivo tempo e émmi doluto i 2 dì lo stomaco e le budella. La luna ha fatto la prima quarta. A dì 2 febbraio in sabato sera e venerdì mangiai lo cavolo e tutte e due queste sere cenai onde 16 dì pane e per non avere patito freddo a lavorare non m’è forse doluto el corpo e lo stomaco. El tempo è molle e piovoso… e a dì 21 che fu berlingaccio cenai col Bronzino la lepre e veddi le bagatelìe e la sera di carnevale vi cenai… » etc…

I più che ottanta pezzi di pittura presenti, col nome del Pontormo, alla Mostra, e la fine scelta di disegni di Iacopo, curata da Giulia Sinibaldi, una volta integrati dalla visita (per la quale è un apposito itinerario) agli affreschi inamovibili di S. Maria Novella, della SS. Annunziata, di Pog­gio a Caiano e di S. Felicita, offriranno al visitatore una visione quasi com­pleta, non si potrà negare, dell’arte pontormesca : quale almeno è possibile oggi, dopo che il tempo ha fatto scomparire, come spesso, varie delle opere testimoniate, nel caso del Pontormo rendendo specialmente nebulosa la sua attività tarda, dal 1530 circa in poi. Ogni mostra deve sempre d’al­tronde lamentare qualche assenza, dovuta o alle condizioni delle opere che le rendano intrasportabili, o a ferrei regolamenti di istituti che ne vietino il prestito, o magari a altre cause; e nel caso presente si avverte, doverosamente, delle principali pagine pontormesche mancanti: la sto­ria Borgherini (c. 1518) della National Gallery di Londra; la Ma­donna dell’Ermitage di Leningrado (forse c. 1521-22, e attribuita anche al Bronzino); il S. Girolamo di Hannover (c. 1525-28), recente scoperta; una piccola e deliziosa, ma problematica Madonna, dei Principi Corsini di Firenze; la pala (c. 1527-30) del Louvre; il Pigmalione già della Cor­sini di Roma (Pontormo – Bronzino); la Sacra Famiglia Kress della Natio­nal Gallery di Washington (oggi però riferita al Bronzino); il già citato ritratto di Alessandro dei Medici (1534-5) a Filadelfia; il ritratto di dama di Francoforte (tra 1530-40). Non molte, invero, anche se si voglia aggiun­gere qualche altro pezzo d’interesse, come il ritratto di Maria Salvìati a Baltimora, o il ritratto che il Longhi pubblicò nel 1952. E se la lista delle attribuzioni tuttora circolanti pare ingrossare la cifra, facile è far constatare come in quella lista, frutto del momento « espansionista » che sempre si verifica nel caso di artisti di fama, molti sono ormai i casi del tutto supe­rati dagli studi, e molti quelli, comunque, di scarso rilievo : la Mostra ha del resto fatta ampia parte anche a questa problematica pontormesca, so­prattutto per le opere di maggior interesse e che ancora veramente restano « sub iudice ».

Ci rimane da fare una breve avvertenza circa il catalogo. In un comitato, quale è stato quello della mostra, dove figuravano diversi noti studiosi del­l’argomento Pontormo, la scelta delle opere e il piano dell’esposizione vengono concordati pur nel naturale verificarsi di divergenze d’opinioni, circa l’autografia o meno di vari dipinti in discussione, e circa la generale ricostruzione dell’attività dell’artista. Lo specialista sa del resto come il catalogo del Pontormo sia uno dei casi più complessi filologicamente, sia nell’individuar e il nucleo autentico delle opere, separandolo da quelle de­gli imitatori e degli affini, sia nello stabilire la cronologia e la linea stili­stica di sviluppo. 1 molti disegni che restano di Iacopo, se da un lato for­niscono preziose indicazioni a ciò, con la loro testimonianza di ricerche, momenti, relazioni, dall’altro complicano di ulteriori termini ì problemi. In tali condizioni, il catalogo non vuol certo presentarsi dogmatico, ma invece, pur nella misura sintetica che è opportuna per una mostra dedi­cata a un vasto pubblico, intende informare dei singoli problemi mante­nendoli aperti : ciò non toglie che, riportando le altrui autorevoli opinioni, non ne esprima anche, a titolo del resto personale, e non della Mostra, una propria. Come era avvertito nella prima edizione del catalogo, un più approfondito studio delle opere ci ha poi portati, in questa seconda edi­zione, a modifcare qualche precedente opinione, riordinando anche in parte l’ordine delle schede: nel che invero non vediamo motivo di disap­punto. Poiché poi il catalogo dei disegni è opera di Luisa Marcucci, è altrettanto naturale che la visione dì due diverse persone non collimi sem­pre perfettamente, come potrà magari, in qualche punto, notarsi; le diver­genze non sono, d:’altronde, molte e molto grandi. Ancora: alla necessità che in genere il più vasto pubblico sente di un « avvio » all’opera d’arte, sono dedicati ì cenni o le citazioni « antologiche » inserite nelle schede; insieme ai vari riferimenti ivi reperibili circa la cultura del pittore, e alle approfondite analisi altrui dei disegni, dovrebbero fornire al visitatore un filo e un orientamento sufficienti per la grande arte di Iacopo da Pontormo.

Luciano Berti

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