Il Contemporaneo a Firenze: Lara-Vinca Masini

Riceviamo con piacere dagli amici di Cultura Commestibile questa iniziativa, e la pubblichiamo subito sul nostro blog. Lara-Vinca Masini è un punto di riferimento non solo per Firenze, per una visione contemporanea dell’Arte. Il suo “Umanesimo, Disumanesimo” è stato in assoluto il primo segnale forte del “nuovo” a Firenze. Aveva respiro d’Europa  e invase la sonnacchiosa Città del Fiore circa 37 anni fa.

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Lara-Vinca Masini: La città nella storia

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Lara-Vinca Masini, Bruno Corà, un’amica e Evelien La Sud, Pastine 1994
http://www.evelienlasud.info/

La città nella storia e oggi – Firenze –

(Conferenza al Museo Pecci di Prato – Aprile 2008)

 

Louis Mumford faceva risalire l’ origine della città al paleolitico: “Fu forse la grotta” scriveva “a suggerire al primitivo  la prima concezione dello spazio architettonico, la prima immagine dell’ utilità di una cinta muraria  per intensificare la ricettività spirituale e l’esaltazione dei sentimenti”. Un aggregato di funzioni, dunque.

Cosicché si può paragonare la città ad un sistema cellulare che ha rappresentato, fin dalle sue origini, la sintesi tra naturale e costruito, tra natura, storia e cultura, che si è espansa sul pianeta fino a coinvolgerlo quasi totalmente ; tanto che oggi non si parla più di città, ma di “metropoli”, “megalopoli”, “villaggio globale”; non si parla più di “cittadino” ma di “uomo metropolitano”. Continua a leggere

Lara-Vinca Masini su Beppe Chiari

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Giuseppe Chiari, da: http://www.fondazioneberardelli.org

Ciò che ci univa. La passione per l’architettura

(Scritto nel maggio 2008)

 

Pasolini e Chiari. La differenza è che Chiari sentiva il rapporto con Firenze come appartenenza, anche se in questa città, al di là dei pochi amici, non ha trovato nessun riconoscimento finché non è stato riconosciuto fuori. E anche allora… Basterà ricordare che al suo funerale non c’era un personaggio pubblico fiorentino. Mentre, ad esempio, c’era un telegramma di Cacciari. Il nostro caro sindaco lo mandò, su indicazione, certo, il giorno dopo…

Io non ho mai sentito Firenze come appartenenza. Ci sto perché ho molti amici carissimi, ma non vivo la città, non mi interessa. Abbiamo lavorato insieme per “Umanesimo Disumanesimo nell’arte europea….”, che avevo organizzato anche per capire se questa città fosse pronta… Inutile… Chiari intervenne su una piazzetta del centro evidenziandone il brutto rifacimento ottocentesco…. Continua a leggere

Lara-Vinca Masini: Luigi Boni

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Luigi Boni

di Lara-Vinca Masini

Firenze, Settembre 2002

Si parla tanto, di questi tempi, anche in Italia, di globalizzazione e, allo stesso tempo, si ricercano e si esaltano, forse per un malcelato timore di perdita di identità, gli apporti artistici e culturali, anche per quanto riguarda il contemporaneo, delle regioni, anche se, ovviamente, mistificati da stratificazioni di condizionamenti resi stabili da fittizie e provinciali prevaricazioni che si istituzionalizzano. Come hanno dimostrato alcune recenti operazioni che avrebbero, invece, dovuto far luce su tante situazioni diverse che si sono verificate (parlo, in questo caso, della Toscana) e che, per ragioni diverse, non hanno avuto la possibilità di crescere e di poter  emergere, come avrebbero potuto…. Continua a leggere

Lara-Vinca Masini e il suo “Umanesimo, Disumanesimo” a Firenze

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La medaglia e il suo rovescio

di Lara-Vinca Masini

Questa manifestazione non vuol dichiarare o affermare se non se stessa. Vuole essere allo stesso tempo un test, un’ipotesi di lettura per componenti multiple di una storia che ritrova, nel pre­sente, termini di confronto indiretti e ambigui, ma capaci, credo, a loro volta, di provocare e stimolare reazioni e fare emergere re­lazioni in cui l’esperienza estetica si dà come uno tra i molti pun­ti di riferimento, ma tra i più illuminanti, per la facoltà quasi pro­fetica, o almeno «sintomatica», che sempre la distingue. È intenzionale l’assunzione della definizione «Umanesimo, Disu­manesimo nell’arte europea 1890-1980», alla quale hanno spinto considerazioni e fatti diversi; dalle manifestazioni medicee fio­rentine alle discussioni con gli artisti (nel caso specifico Fabio Mauri e Giuseppe Chiari) circa alcune dichiarazioni americane – anche autorevoli -, secondo le quali sarebbe loro retaggio un co­siddetto «nuovo umanesimo»; fino alla particolare condizione di Firenze nel contesto italiano attuale.

E, per chiarire:

Le molte manifestazioni medicee, che coprono massiccia­mente tutti gli spazi agibili di Firenze e della Toscana, disertano totalmente, dandolo per scontato, il periodo specificatamente «umanista» di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo e ripropongono, per contro, una lettura (spesso totalmente gratificante) su un re­pertorio ricchissimo di documenti e materiali, del Manierismo (col vantaggio di spostare, almeno, in avanti di un gradino, il pe­so dorato della «tradizione» fiorentina, i cui termini correnti di ri­ferimento, si limitavano, fino ad oggi, al primo Rinascimento, rivisitato, tuttavia, in chiave di revival tardo-ottocentesco). Continua a leggere

Lara e Firenze

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Veduta di Firenze, detta “della Catena”, 1471-1482 ca,

Firenze, Museo Topografico, “Firenze com’era”

 

Firenze : un “Contemporaneo” malinteso

LARA-VINCA MASINI
da “L’Architettura”, rivista fondata da Bruno Zevi,
anno LI, numero 597-598-599, anno 2005
Prima pubblicazione sul web: http://www.transfinito.eu

Non è certo da oggi che Firenze è aggredita nell’integrità del suo tessuto connettivo; basterà risalire, per tenerci a tempi relativamente recenti, alla infelice ricostruzione del dopoguerra e allo stravolgimento totale del P.R. di Edoardo Detti (’51,‘53) che al momento dell’approvazione (’62) era stato così deformato da diventare irriconoscibile. Tra i miei ricordi c’è lo scempio (‘92) perpetrato nei confronti dello Stadio di Nervi, a mio avviso uno dei suoi lavori più importanti. Subito dopo il suo stravolgimento totale ricevemmo una proposta di referendum per la realizzazione di un nuovo stadio perché quello esistente, anche dopo la sua “ristrutturazione” (?) non era sufficiente alle nuove necessità !…

E’ seguito un periodo di “normale” e speculativa corrosione della città, ma non si era mai arrivati ad una così sistematica aggressione come quella attuale, in cui la speculazione (sia rappresentata dalle esigenze di un turismo di massa o di una edilizia corrente), fa sì che si cominci ad invadere il cuore stesso della città, non solo la periferia, che sembra esser diventato il tema centrale della ricerca architettonica attuale, anche se ormai gli spazi di intervento sembrano sempre più ridotti.
Sono consapevole del fatto che le responsabilità sono molte, vanno indietro nel tempo, e non sono legate tutte alle attuali istituzioni cittadine.

Si pensi per esempio alla zona di Novoli, dove ci sarebbe stata la possibilità di “progettare”, finalmente, una zona periferica decente, senza farla diventare, nel corso degli anni, un coacervo di lavori disparati, un deposito di speranze mancate, in un insieme slegato e caotico, dove anche le proposte progettuali sono state stravolte, come nel caso del Tribunale di Ricci, che sembra, come è stato detto,”pantografato”. completamente tradito anche nei materiali e nella sua collocazione secondo un travisato impianto urbanistico (vedi il progetto Krier), che lo riduce ad una presenza che risulta, ormai, fuori tempo e fuori luogo…

Oggi si stanno perpetrando danni forse irreparabili, in nome di un cosiddetto “rinnovamento” (più che legittimo; tante volte ne abbiamo dichiarata la necessità, ma in nome di un meditato, colto, ragionevole programma, non per rispondere, demagogicamente, a necessità legittime o presunte per la vita della città, ma realizzate a scapito dell’ integrità della città stessa).
Non sono ne’ un architetto ne’ un urbanista. Le mie osservazioni rappresentano soltanto la testimonianza di chi ancora, in un contesto assolutamente omologato che rende, purtroppo, uguali (o simili) molti comportamenti, al di là delle ideologie e delle intenzioni, cerca ancora di “guardare” oltre che di “vedere”.

Da sempre ci siamo battuti contro l’ ostinata e fin qui irriducibile riottosità delle istituzioni di questa città ad aprirsi al contemporaneo con l’ arroccamento in una appiattita relazione, spesso forzata, con uno straordinario passato ma incapace, perché male interpretato, di fornire stimoli e di innescare spinte innovative proprio perché non mantenuto vivo, ma cristallizzato e mummificato, quando avrebbe potuto costituire il maggior incentivo per mantenere attiva una creatività legata allo scorrere del tempo, in un contesto ancora prezioso agli occhi del mondo intero.

Ci troviamo di fronte ad una città che deve rinnovarsi, ma con criterio, con sensibilità, quella sensibilità che tenga conto di un’ idea di armonia della città; occorre un’ idea strategica della città stessa, che dovrebbe essere anche l’ idea tangibile della sua bellezza, del suo equilibrio anche nel modo di confrontarsi con il degrado e la cattiva educazione nei suoi riguardi; e soprattutto un’ idea strutturale che non si muova sul filo di una sindrome che sta contagiando tutti, la difesa “bottegaia” di un turismo mordi e fuggi, un turismo da fast food, che sporca la città, che siede sui gradini del Duomo, ohibò !
Quanti secoli sono che la gente si siede sui gradini del Duomo, ma nessuno aveva mai pensato di mettere delle obbrobriose panchine accanto a quel monumento…
Non sarebbe stato più opportuno, e certo non più costoso, costituire dei turni di guardia?

E un sottopassaggio con curve sbagliate, che sgrana il contesto della città, e propone (a Firenze !), delle mezze torrette in finto bugnato in pietra serena, tinteggiata da pietra forte ? Oppure un posteggio che fa emergere una sorta di gigantesco (e assurdo, oltre che insensato) pannello solare in piazza Beccaria ?
Questo non significa affatto che non si possa intervenire con lavori contemporanei in un contesto storico. C’ è a Lione, tanto per fare un esempio, una piazza ottocentesca con un’ alta scalinata da un lato, che porta ad una chiesa. Nella parte opposta della piazza, decentrata, c’ è una fontana con grandi cavalli e donnone seminude, che Daniel Buren ha reso straordinaria disponendovi, entro sezioni quadrate, tanti zampilli d’ acqua che si alzano e si abbassano, e la sera sono illuminati. E’ diventata una piazza stupenda (vicina, tra l’ altro, a quella che la ristrutturazione del Teatro dell’ Opera di Nouvel fa vibrare di luce diffusa); e la gente la percorre come se fosse là da secoli: i bambini e i cani ci giocano, la fanno vivere. Ma è il lavoro sensibilissimo di un artista, non un gioco velleitario e inerte di chi pretende di giocare all’ artista e non sa rimanere nel suo ruolo di tecnico. Perché, se l’ architettura, come categoria assoluta, è “arte”, non sono molti gli architetti “artisti”: e anche quelli che lo sono (Gehry, Libeskind, Fuksas, Nouvel, Piano…) spesso si associano, nel loro lavoro, con artisti.

Del resto lo stesso si può dire per molti che si definiscono “artisti”.
Quanto a Firenze non voglio neppure accennare al posteggio della Fortezza, che ormai è, grazie a Dio, rifiutato da tutti, ma rischia di diventare così totalizzante da annullare, mediaticamente, ogni altro problema. I giornali non citano ormai che quello.
Non si parla più delle Pensilina dietro gli Uffizi, concorso vinto da Arata Isozaki, per la quale l’ ultima trovata è che si sono individuati dei reperti archeologici nel sottosuolo e che quindi non si può realizzare. Scusa evidente dal momento che (si veda in “La Repubblica”, 13 gennaio 2005) Riccardo Francovich, docente di archeologia medievale all’ Università di Siena e incaricato come consulente per gli scavi sull’ area attorno al museo ha dichiarato che il problema “non c’ entra nulla con la costruzione della Loggia”, e lo stesso Isozaki per testimonianza del suo assistente dichiara che “basta mettere un piastrone d’ acciaio su cui far poggiare i pilastri”…

E’ evidente che la Pensilina non piace; mentre vanno bene, appunto, le torrette in finto bugnato, le costruzioni megagalattiche, lo pseudo pannello solare, le panchine accanto al Duomo, e va bene anche la proposta di intervento “filologico” in piazza Santa Maria Novella, una delle più belle di Firenze, il cui giardino (non parliamo della facciata dell’ Alberti, degli obelischi secenteschi di marmo poggianti su tartarughe in bronzo del Giambologna) è stato sistemato da Porcinai e per cui basterebbero un progetto di illuminazione che corra lungo le mura, una ripulita e una corretta manutenzione.
E che fine ha fatto il progetto vincitore di Nouvel per il palazzo già Fiat in viale Belfiore?
E che accadrà con la tranvia lungo il viale delle Cascine ?
Non sarebbe più corretto (e meno costoso), approfittare della presenza, a poche decine di metri di distanza, dei binari morti, ancora esistenti, della Stazione Leopolda, che costeggiano le Cascine ?
Si salverebbe un importante documento storico e un polmone di verde irrecuperabile per la città.

Per anni abbiamo accusato le istituzioni perché non si promuovevano concorsi per l’architettura. Ma se si promuovono e poi non si realizzano i progetti vincitori di architetti notissimi, si contribuisce solo a gettar via denaro pubblico inutilmente e a screditare il nome della città a livello internazionale.
E se si facessero lavorare i giovani, in una condizione del tutto rinnovata, dal momento che oggi l’ accelerazione costante nella quale ci troviamo immersi sollecita una comprensione “altra”, diversa, della realtà, una comprensione più profonda e più critica; l’ artista ci si deve confrontare, dilatando il suo territorio operativo.
L’ artisticità ha acquistato una dilatazione espansiva che si allarga dalle arti visive all’architettura, alla letteratura, alla scienza, alla filosofia.
Non si tratta di scambio dei ruoli istituzionali; non si tratta della vecchia utopia della sintesi delle arti: cambia il modo di considerare “le arti” stesse, occorre un nuovo tipo di sensibilità, un allargamento dello “sguardo” su temi e orizzonti diversi.
E molti artisti oggi dialogano e interagiscono con lo spazio, anche con quello urbano e con quello storico. Perché non farli partecipare, allo stesso livello, con gli architetti, non per la realizzazione di opere aggiuntive all’ architettura, ma per contribuire alla creazione di spazi che sappiano far dialogare il presente col passato ?
Certo, gli artisti vanno saputi individuare, non secondo un nome che corre perché alla moda o per clientelismo interessato. Ogni artista si muove secondo personali linee di ricerca che devono essere bene individuate. Perché non riconosciamo a tutti il diritto alle proprie competenze e alle proprie attitudini ?


Lara-Vinca Masini su Antonio Bueno

8. AB Nudo Con Fiori

Dalla presentazione della mostra alla Galleria L’Indiano, Firenze 1970

Ingres da un lato, Pascin dall’altro sono, a mio avviso, i termini di confronto a « monte », dal mondo pittorico di Antonio Bueno: una fedel­tà malgré lui, alla forma, come unica espres­sione « libera » dell’artista, come unica salvez­za e possibilità di autonomia dell’arte, in quan­to, ancora, creatrice di forme; e la cosciente, internazionale — talvolta persino un po’ maso­chista — volontà di distruzione, di défiguration della forma stessa in un disfacimento che, in Pascin, è il risultato diretto del completo sfa­celo di una società sulla quale incombe la tra­gedia di una guerra. Né possiamo dire, ancora, che cosa ci sia riservato nella contrazione vio­lenta della nostra condizione attuale, in un mon­do in cui la scienza, nonché l’arte, divengono quasi sempre, senza possibilità di scampo, stru­menti del sistema distruttivo della società. Ingres resta, per Bueno, un punto di riferimen­to come simbolo della volontà di resistenza di un mondo amato come un’ultima età dell’oro.

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Lara-Vinca Masini: Tracce sull’io, la pittura di Tobia Ercolino

Tobia Ercolino, "Tracce", 2003

Tobia Ercolino, “Tracce”, 2003

Tobia Ercolino, "Tracce" 2003

Tobia Ercolino, “Tracce” 2003

Tobia Ercolino, "Tracce", 2003

Tobia Ercolino, “Tracce”, 2003

Tracce sull’io, la pittura di Tobia Ercolino

Prima pubblicazione su www.transfinito.eu

di Lara-Vinca Masini

Ho ritrovato, in questi giorni, una dichiarazione di Vincenzo Agnetti, certamente il più concettuale degli artisti italiani, che, con quella “consapevolezza infinita” che McLuhan attribuiva agli artisti, e che Beuys avrebbe allargato a “tutti gli esseri creativi”, mi sembra riveli in maniera esemplare, con una chiarezza quasi lapalissiana il concetto di “pittura” nel mondo contemporaneo: “Con la prima costruzione del quadro, o perlomeno di una cosa qualsiasi ritenuta tale, con l’io infilato nella materia senza alcun riferimento figurativo, l’inconscio veniva memorizzato nell’oggetto; il pittore insomma disumanizzava a suo modo nel tentativo di cedersi come pura energia” (in “Enrico Castellani pittore”, ed. A. Mauri, Milano 1958).

Cerco di rapportare questa straordinaria intuizione, che solo un artista è capace di cogliere (penso a quell’ “io infilato nella materia”, a “l’inconscio veniva memorizzato nell’oggetto”), a questo lavoro recente di Tobia Ercolino, a questi suoi grandi quadri interamente percorsi da una fitta scrittura, che fanno veramente pensare  ad una totale immersione dell’io nell’opera, attraverso il ritmo della propria fisicità, ritmo che non è quello tragico, viscerale, gestuale, di un Pollock, ma si realizza, attraverso, appunto, la propria scrittura, con un gesto che si trasforma in “segno”. Non si tratta, dunque, di una immersione istintuale, ma di un meditato, controllato, progettato riversamento di sé nell’opera. Ma mi ricordo anche che Wittgenstein, rifiutandosi di negare l’esistenza di “processi psichici” o “spirituali” nell’elaborazione del mezzo linguistico, ne parla come di “finzioni grammaticali”, profondamente radicate, peraltro, nella vita, “come lo sono le esperienze oniriche”. Continua a leggere