Un angelo con i jeans strappati

 

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di Paolo Pianigiani

Anzi, per la precisione e a rispettare i gradi, di un Arcangelo. Quello raffigurato da Jacopo Carrucci, correva all’incirca l’anno 1519, sulla tavola destra (di chi guarda) posta nella nicchia che custodisce il crocifisso, nella chiesa di San Michele, a Pontorme, è appunto l’Arcangelo San Michele.

Il diavolino qui è visto e immaginato al posto del solito drago o del diavolone di turno, brutto di suo, riprodotti a scelta e a iosa in tanti altri dipinti di carattere religioso.

E che fa questo diavolino, munito di alucce di pipistrello appena spuntate?

Tiene in mano il mondo, o al limite, una mela, quella fatale ad Adamo e di conseguenza a tutti noi, hanno detto e dichiarato i più, anche i grandissimi fra i critici d’arte, guardando in superficie il dipinto.

Macchè mondo o mela… guardiamo bene: si tratta del secondo piattino della bilancia, l’altro attributo indispensabile all’Arcangelo, sul quale finiremo tutti, uno per uno, secondo le previsioni della dottrina cattolica, alla fine dei tempi. Bene ha visto e indicato Cristina Gelli, dell’Ufficio Cultura del comune di Empoli, in un recente saggio dedicato al dittico del Pontormo. Continua a leggere

Roberto Longhi, il San Giovanni Battista per Ottavio Costa

Michelangelo Merisi, il "San Giovanni Battista Costa", Museo

Michelangelo Merisi, il “San Giovanni Battista Costa”, Museo Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City. Circa 1604

Da Roberto Longhi, Caravaggio.

Editori Riuniti, 1993

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La polemica fu poi al colmo nella interpretazione del «San Giovanni Battista» di casa Doria, dove uno dei nudi di Michelangelo nella volta Sistina, visto in controparte, è bensì vitale, prensile come nell’originale, quasi il Caravaggio ammettesse che cosi talvolta ci appare anche il vero; ma decidesse che, per immergerlo nella realtà naturale, occorre «macinarne la carne» e interromperlo con i traversoni macchiati dell’ombra. E può essere che la motivazione antinomica rimanga troppo palese. Continua a leggere

Ugo Procacci: Sinopie e Affreschi a Santagostino.

Ugo Procacci in una foto di Cecilia Frosinini del 1978

Ugo Procacci, foto di Cecilia Frosinini, 1978

Una delle cappelle che presenta i maggiori problemi di lettura, fra quelle ancora perfettamente conservate a Santagostino,  è quella di Sant’Elena, la cappella affrescata da Masolino nel 1424 e riscoperta da Ugo Procacci nel 1943. Nel suo ormai quasi introvabile “Sinopie e Affreschi”, edito nel 1960 per i tipi della Electa Editrice, parla diffusamente del suo ruolo nella riscoperta delle sinopie di Masolino, che erano rimaste sotto lo scialbo voluto dai frati Agostiniani, che preferirono un “colorino galante”, alle pitture di uno dei maggiori artisti del Quattrocento fiorentino. Queste sinopie, che furono staccate ed esposte nel 1957, alla grande mostra di Forte Belvedere a Firenze, di cui questo libro costituisce il catalogo e la testimonianza, da troppi anni sopravvivono allo scorrere del tempo e delle sue ingiurie. In pratica sono quasi scomparse. Il ricordo di Masolino va a morire, nonostante le lampade che cercano disperatamente di ritrovarne i contorni.

Ma per nostra fortuna in questo straordinario volume le sinopie sono presenti, fotografate benissimo, pur con le apparecchiature di allora.

Ve ne proponiamo alcune, insieme al commento del grande studioso fiorentino..

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Tavole 62-69

Masolino da Panicale: Cristo portacroce e Storie della Vera Croce (sinopie) – Empoli, S. Agostino.

Le sinopie di Masolino da Panicale, nella cappella del­la S. Croce in S. Stefano di Empoli, furono rinvenute, da chi scrive queste note, nel 1943 in seguito a ricerche fatte in base a documenti. Questi ci facevano in­fatti sapere che la cappella — della cui ubicazione si era perduto il ricordo — era stata affrescata da Masolino per la somma di settantaquattro fiorini d’oro, e che era stata finita di dipingere, con ogni probabi­lità, il 2 di novembre del 1424. Purtroppo degli affre­schi — se si fa eccezione di alcuni compassi con Santi a mezza figura, nell’intradosso dell’arco di ingresso, e di due bellissime teste muliebri negli sguanci della finestra — nulla è rimasto, perché nell’agosto del 1792 i frati dell’annesso convento, riuniti capitolarmente, deliberavano con sei voti favorevoli e uno contrario, di … scortecciare, stonacare e rintonacare di nuovo… quando non si creda che faccia pregiudizio e dispiacere al pubblico il demolire le pitture grossolane e di niun pregio ivi esistenti, e così rintonacato il muro darli un fondo di un colorino galante… A compensare in parte tanta perdita, sono ora tornate alla luce le sinopie delle distrutte composizioni (Cat. 13, 16-19) le quali, oltre che costituire un prezio­sissimo documento per la conoscenza dell’arte di Masolino, possono veramente essere annoverate tra le più belle a noi pervenute del primo Quattrocento. Le figure e le cose vi appaiono eseguite a solo con­torno, salvo qualche raro accenno di ombreggiatura; ma le linee sono sempre nette e sicure senza alcun pentimento, e le composizioni, anche se alcune volte accennate appena con pochi tratti, magistralmente concepite, in una chiara distribuzione degli spazi; ovunque poi domina quella sensibilità delicata e si­gnorile che rende sempre di una bellezza inconfon­dibile e di gran fascino le pitture di Masolino; non di rado si giunge infine al capolavoro. Si veda così la fragile figura del Cristo portacroce che sembra evocare — e siamo invece nel 1424 — ricordi angelichiani (tav. 62), o il Redentore sorgente dal sarcofago (tav. 63), o il giovanile Santo guerriero di un’assoluta purezza di linee nella sua cristallina sem­plicità (tavv. 68 e 69); si guardi la sapienza con cui è composta la scena della prova della Vera Croce, strettamente collegata al corteggio, purtroppo in par­te svanito, di S. Elena e del suo seguito verso Geru­salemme (tav. 67); ecco la regina di Saba inginoc­chiata con la sua corre davanti al ponticello sul fiume Siloe (tav. 65) ed Eraclio addormentato nella propria tenda (tav. 64) vigilata dai soldati, di ben altra ef­ficacia, pur nella simile composizione, dell’analoga scena negli affreschi di Agnolo Gaddi in S. Croce. Ed infine, a concludere la sacra leggenda, la decapi­tazione di Cosroe (tav. 66); una sequenza veramente meravigliosa, che però, proprio per questo, non può non farci ancor più amaramente rimpiangere la scom­parsa dei corrispondenti affreschi.


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Tavole 70 e 71

Masolino da Panicale: Decapitazione di S. Caterina (sinopia e affresco) – Roma, S. Clemente.

Molto più studiate ed elaborate di quelle di Empoli — l’artista operava ora per la corte papale — ci ap­paiono le sinopie che Masolino eseguì a Roma in S. Clemente, affrescando nel 1428, o poco dopo, una cappella per il cardinale Branda da Castiglione. Non si ha più ora, sia nella Crocifissione — per le parti che appartengono al nostro artista (Cat. 20) — sia nella bellissima decapitazione di S. Caterina, il dise­gno tracciato solo nei contorni, ma anche ombreggiato e chiaroscurato per mettere in risalto il rilievo delle figure; però, nonostante questo cambiamento tecnico, lo spirito che anima composizioni e personaggi è lo stesso: e così il carnefice di S. Caterina a Roma non può non richiamare subito alla mente il carnefice di Cosroe a Empoli.

Qualche cambiamento fu apportato dall’artista nel passaggio dalla sinopia all’affresco; il più notevole si ebbe nella figura della Santa in attesa del colpo di spada che le troncherà la vita: ora è in ginocchio, in preghiera, e non più, come nel disegno, accasciata a terra, in posizione succube, che forse non piacque, preferendosi un più altero comportamento di fronte al martirio; ma la prima invenzione di Masolino era, dal lato artistico, più perfetta.


Odoardo H. Giglioli: un articolo sul Pontormo a Pontorme

Il San Giovanni Evangelista ed il San Michele

dipinti dal Pontormo per la chiesa

di San Michele a Pontormo presso Empoli

Rivista d’Arte, 1905

 

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Sono lieto di presentare le prime fotografie di queste pregevolissime pitture che rivelano tutto lo stile caratteristico dell’artista simpatico e geniale: su di esse non conosciamo che il ricordo Vasariano giacché manca in proposito qualsiasi documento.

Secondo lo storico aretino sarebbero state eseguite dopo il 1516, cioè dopo l’affresco del chiostro della SS. Annunziata, e le tavole, l’una allogatagli da Francesco Pucci per la cappella di San Michele Visdomini in Via dei Servi a Firenze, l’altra da Bartolomeo Lanfredini. Continua a leggere

L’archivio di Luigi Boni, a cura di Vanessa Chesi

METODOLOGIA USATA

NEL RIORDINARE

L’ARCHIVIO “LUIGI BONI”

Lara-Vinca Masini su Luigi Boni, studio

Boni, Luigi Boni, Luigi_Pagina_01

L’archivio  che ho preso in considerazione ed analizzato è un ARCHIVIO PRIVATO SPECIFICO nel senso che riguarda interamente un artista, Luigi Boni, nato nel 1904 in una frazione di Empoli e morto nel 1977 nella stessa città. Tutto il materiale contenuto è stato raccolto con dedizione ed entusiasmo da Paolo Pianigiani che aveva conosciuto “Gigi” (così veniva chiamato il più anziano artista) nel 1973 alla Galleria “Il Toro” di Empoli. “Mi era stato presentato come uno dei pochi in città che si intendesse di pittura e avevo visto con stupore alcuni suoi lavori di quel periodo, gli ultimi realizzati con le “palle”, grandi supporti di tela juta brulicanti di rilievi sferici. Continua a leggere

Odoardo Hillyer Giglioli a proposito degli affreschi di Gherardo Starnina a Empoli

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Rivista d’Arte, 1905

Su alcuni affreschi perduti dello Starnina. – Una grande oscurità avvolge ancora la vita e le opere di questo artista che il Vasari dice maestro di Masolino; l’unica notizia sicura è stata fino adesso la sua iscrizione nella Compagnia di S. Luca nel 1387 col nome di Gherardo di jacopo dipintore, giacché dubbiose sono le date della nascita e della morte 1354 e 1408. Manca una base certa di confronto per stabilire se realmente siano sue le storie di S. Antonio abate e di S. Niccolò vescovo nella cappella Castellani in S. Croce a Firenze attribuitegli dal Vasari e conquistategli dalla moderna critica.starnina1

Irreparabilmente perdute sono le pitture della cappella di S. Girolamo al Carmine, così pure il S, Dionigi e la città di Pisa frescate sulla facciata del palazzo di parte Guelfa, che, ricordate dallo scrittore aretino, furono viste ai tempi del Baldinucci e del Richa. Poco o nulla di positivo sappiamo sui lavori da lui eseguiti in Spagna, e il Cavalcaselle1 gli nega una Adorazione dei Magi esistente in un camerino dell’Escuriale.

Sono lieto di presentare un documento che, pur riferendosi ad affreschi scomparsi, prova come non solo lo Starnina ricevesse l’allogazione per una cappella nella chiesa di S. Stefano d’Empoli, ma l’avesse già cominciata a dipingere il 6 di febbraio 1408. Chi commise il lavoro fu la compagnia della Nunziata della veste nera fondata nel 1354 e soppressa nel 1785: la loro cappella ora sede della Misericordia detta anche di fuora, perché sporgente dal corpo della chiesa, fu restaurata, ingrandita nel 1501 e danneggiata da un incendio l’8 aprile 1642.  Prima dunque di questa data si presentava nella sua integrità l’opera dello Starnina, che Bernardo Rossellino vide come decorazione del suo gruppo marmoreo della Annunciazione, scolpito nel 1447. Ora apparentemente non esiste più nulla, però siccome le notizie che abbiamo non accennano ad una distruzione completa, mi pare si possa ancora sperare che qualche frammento dell’antica pittura sia restato sotto l’intonaco: e credo che l’ufficio regionale farà opera veramente meritoria iniziando una serie di assaggi a questo scopo.