Non è certo da oggi che Firenze è aggredita nell’integrità del suo tessuto connettivo; basterà risalire, per tenerci a tempi relativamente recenti, alla infelice ricostruzione del dopoguerra e allo stravolgimento totale del P.R. di Edoardo Detti (’51,‘53) che al momento dell’approvazione (’62) era stato così deformato da diventare irriconoscibile. Tra i miei ricordi c’è lo scempio (‘92) perpetrato nei confronti dello Stadio di Nervi, a mio avviso uno dei suoi lavori più importanti. Subito dopo il suo stravolgimento totale ricevemmo una proposta di referendum per la realizzazione di un nuovo stadio perché quello esistente, anche dopo la sua “ristrutturazione” (?) non era sufficiente alle nuove necessità !…
E’ seguito un periodo di “normale” e speculativa corrosione della città, ma non si era mai arrivati ad una così sistematica aggressione come quella attuale, in cui la speculazione (sia rappresentata dalle esigenze di un turismo di massa o di una edilizia corrente), fa sì che si cominci ad invadere il cuore stesso della città, non solo la periferia, che sembra esser diventato il tema centrale della ricerca architettonica attuale, anche se ormai gli spazi di intervento sembrano sempre più ridotti.
Sono consapevole del fatto che le responsabilità sono molte, vanno indietro nel tempo, e non sono legate tutte alle attuali istituzioni cittadine.
Si pensi per esempio alla zona di Novoli, dove ci sarebbe stata la possibilità di “progettare”, finalmente, una zona periferica decente, senza farla diventare, nel corso degli anni, un coacervo di lavori disparati, un deposito di speranze mancate, in un insieme slegato e caotico, dove anche le proposte progettuali sono state stravolte, come nel caso del Tribunale di Ricci, che sembra, come è stato detto,”pantografato”. completamente tradito anche nei materiali e nella sua collocazione secondo un travisato impianto urbanistico (vedi il progetto Krier), che lo riduce ad una presenza che risulta, ormai, fuori tempo e fuori luogo…
Oggi si stanno perpetrando danni forse irreparabili, in nome di un cosiddetto “rinnovamento” (più che legittimo; tante volte ne abbiamo dichiarata la necessità, ma in nome di un meditato, colto, ragionevole programma, non per rispondere, demagogicamente, a necessità legittime o presunte per la vita della città, ma realizzate a scapito dell’ integrità della città stessa).
Non sono ne’ un architetto ne’ un urbanista. Le mie osservazioni rappresentano soltanto la testimonianza di chi ancora, in un contesto assolutamente omologato che rende, purtroppo, uguali (o simili) molti comportamenti, al di là delle ideologie e delle intenzioni, cerca ancora di “guardare” oltre che di “vedere”.
Da sempre ci siamo battuti contro l’ ostinata e fin qui irriducibile riottosità delle istituzioni di questa città ad aprirsi al contemporaneo con l’ arroccamento in una appiattita relazione, spesso forzata, con uno straordinario passato ma incapace, perché male interpretato, di fornire stimoli e di innescare spinte innovative proprio perché non mantenuto vivo, ma cristallizzato e mummificato, quando avrebbe potuto costituire il maggior incentivo per mantenere attiva una creatività legata allo scorrere del tempo, in un contesto ancora prezioso agli occhi del mondo intero.
Ci troviamo di fronte ad una città che deve rinnovarsi, ma con criterio, con sensibilità, quella sensibilità che tenga conto di un’ idea di armonia della città; occorre un’ idea strategica della città stessa, che dovrebbe essere anche l’ idea tangibile della sua bellezza, del suo equilibrio anche nel modo di confrontarsi con il degrado e la cattiva educazione nei suoi riguardi; e soprattutto un’ idea strutturale che non si muova sul filo di una sindrome che sta contagiando tutti, la difesa “bottegaia” di un turismo mordi e fuggi, un turismo da fast food, che sporca la città, che siede sui gradini del Duomo, ohibò !
Quanti secoli sono che la gente si siede sui gradini del Duomo, ma nessuno aveva mai pensato di mettere delle obbrobriose panchine accanto a quel monumento…
Non sarebbe stato più opportuno, e certo non più costoso, costituire dei turni di guardia?
E un sottopassaggio con curve sbagliate, che sgrana il contesto della città, e propone (a Firenze !), delle mezze torrette in finto bugnato in pietra serena, tinteggiata da pietra forte ? Oppure un posteggio che fa emergere una sorta di gigantesco (e assurdo, oltre che insensato) pannello solare in piazza Beccaria ?
Questo non significa affatto che non si possa intervenire con lavori contemporanei in un contesto storico. C’ è a Lione, tanto per fare un esempio, una piazza ottocentesca con un’ alta scalinata da un lato, che porta ad una chiesa. Nella parte opposta della piazza, decentrata, c’ è una fontana con grandi cavalli e donnone seminude, che Daniel Buren ha reso straordinaria disponendovi, entro sezioni quadrate, tanti zampilli d’ acqua che si alzano e si abbassano, e la sera sono illuminati. E’ diventata una piazza stupenda (vicina, tra l’ altro, a quella che la ristrutturazione del Teatro dell’ Opera di Nouvel fa vibrare di luce diffusa); e la gente la percorre come se fosse là da secoli: i bambini e i cani ci giocano, la fanno vivere. Ma è il lavoro sensibilissimo di un artista, non un gioco velleitario e inerte di chi pretende di giocare all’ artista e non sa rimanere nel suo ruolo di tecnico. Perché, se l’ architettura, come categoria assoluta, è “arte”, non sono molti gli architetti “artisti”: e anche quelli che lo sono (Gehry, Libeskind, Fuksas, Nouvel, Piano…) spesso si associano, nel loro lavoro, con artisti.
Del resto lo stesso si può dire per molti che si definiscono “artisti”.
Quanto a Firenze non voglio neppure accennare al posteggio della Fortezza, che ormai è, grazie a Dio, rifiutato da tutti, ma rischia di diventare così totalizzante da annullare, mediaticamente, ogni altro problema. I giornali non citano ormai che quello.
Non si parla più delle Pensilina dietro gli Uffizi, concorso vinto da Arata Isozaki, per la quale l’ ultima trovata è che si sono individuati dei reperti archeologici nel sottosuolo e che quindi non si può realizzare. Scusa evidente dal momento che (si veda in “La Repubblica”, 13 gennaio 2005) Riccardo Francovich, docente di archeologia medievale all’ Università di Siena e incaricato come consulente per gli scavi sull’ area attorno al museo ha dichiarato che il problema “non c’ entra nulla con la costruzione della Loggia”, e lo stesso Isozaki per testimonianza del suo assistente dichiara che “basta mettere un piastrone d’ acciaio su cui far poggiare i pilastri”…
E’ evidente che la Pensilina non piace; mentre vanno bene, appunto, le torrette in finto bugnato, le costruzioni megagalattiche, lo pseudo pannello solare, le panchine accanto al Duomo, e va bene anche la proposta di intervento “filologico” in piazza Santa Maria Novella, una delle più belle di Firenze, il cui giardino (non parliamo della facciata dell’ Alberti, degli obelischi secenteschi di marmo poggianti su tartarughe in bronzo del Giambologna) è stato sistemato da Porcinai e per cui basterebbero un progetto di illuminazione che corra lungo le mura, una ripulita e una corretta manutenzione.
E che fine ha fatto il progetto vincitore di Nouvel per il palazzo già Fiat in viale Belfiore?
E che accadrà con la tranvia lungo il viale delle Cascine ?
Non sarebbe più corretto (e meno costoso), approfittare della presenza, a poche decine di metri di distanza, dei binari morti, ancora esistenti, della Stazione Leopolda, che costeggiano le Cascine ?
Si salverebbe un importante documento storico e un polmone di verde irrecuperabile per la città.
Per anni abbiamo accusato le istituzioni perché non si promuovevano concorsi per l’architettura. Ma se si promuovono e poi non si realizzano i progetti vincitori di architetti notissimi, si contribuisce solo a gettar via denaro pubblico inutilmente e a screditare il nome della città a livello internazionale.
E se si facessero lavorare i giovani, in una condizione del tutto rinnovata, dal momento che oggi l’ accelerazione costante nella quale ci troviamo immersi sollecita una comprensione “altra”, diversa, della realtà, una comprensione più profonda e più critica; l’ artista ci si deve confrontare, dilatando il suo territorio operativo.
L’ artisticità ha acquistato una dilatazione espansiva che si allarga dalle arti visive all’architettura, alla letteratura, alla scienza, alla filosofia.
Non si tratta di scambio dei ruoli istituzionali; non si tratta della vecchia utopia della sintesi delle arti: cambia il modo di considerare “le arti” stesse, occorre un nuovo tipo di sensibilità, un allargamento dello “sguardo” su temi e orizzonti diversi.
E molti artisti oggi dialogano e interagiscono con lo spazio, anche con quello urbano e con quello storico. Perché non farli partecipare, allo stesso livello, con gli architetti, non per la realizzazione di opere aggiuntive all’ architettura, ma per contribuire alla creazione di spazi che sappiano far dialogare il presente col passato ?
Certo, gli artisti vanno saputi individuare, non secondo un nome che corre perché alla moda o per clientelismo interessato. Ogni artista si muove secondo personali linee di ricerca che devono essere bene individuate. Perché non riconosciamo a tutti il diritto alle proprie competenze e alle proprie attitudini ?