Silvia Fiaschi, il restauro del Cesare Dandini a Sovigliana

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

Foto di Paolo e Claudio Giusti, 2009

 

Chiesa di San Bartolomeo a Sovigliana, Vinci.

Soggetto: “Discesa dello Spirito Santo”.

Descrizione: La Vergine e gli Apostoli sono in piedi con i volti e le braccia rivolte in alto verso la colomba dello Spirito Santo che appare in un alone di luce. Sopra la fronte degli apostoli vi è una fiammella.

Autore: Cesare Dandini (sec. XVII)

Materia e tecnica: Olio su tela.

Misure: 192 x 289 cm ca.

Commissionata al pittore dal parroco Domenico Testi, intorno alla metà del 1600, come è documentato dallo stemma, dipinto sul primo gradino. Continua a leggere

Collegiata di Empoli: dov’erano le opere…

Invito Maggio Collegiata.jpg

 

L’ultimo incontro organizzato dall’Archivio storico di Empoli prima dell’estate sarà tenuto da Valdredo Siemoni

Argomento

Le opere d’arte sugli altari della Collegiata di Sant’Andrea.

Ricostruzione virtuale della loro collocazione originaria

 

Valfredo Siemoni, incrociando pubblicazioni con fonti documentarie conservate in vari fondi archivistici, riesce a ricomporre virtualmente la collocazione originaria delle opere d’arte – pitture e sculture – che nei secoli scorsi decoravano gli altari della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli, ad eccezione di alcuni casi dubbiosi. Un contributo importante alla ricerca locale come pure alla valorizzazione di tali opere, fornendo il contesto storico originario, prima della loro musealizzazione.

La seconda mostra alle Gallerie degli Uffizi

Eike D. Schmidt

 Direttore delle Gallerie degli Uffizi

Fig.2

Pittore emiliano del XVIII secolo

Nano dormiente (Il nano bocciolo)

1700-1710 ca.

Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina e Appartamenti Reali, depositi

Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici

 

Nella Roma antica, il trionfo tributato ai generali dopo una campagna vittoriosa consisteva in una parata in cui sfilavano insegne, prigionieri illustri, animali rari e la parte spettacolare del bottino. Tra le grida di ovazione del pubblico, su di un carro riccamente ornato sedeva in trono il generale stesso, in posizione sopraelevata: davanti a lui stava accoccolato un ‘matto’ che aveva invece il compito di deriderlo e ingiuriarlo, per ricordargli la caducità del suo successo e i suoi limiti umani. Nella cornice del solenne rituale, il ruolo affidato a questo folle doveva essere tanto moralistico quanto aberrante, a sottolineare non solo la diversità di fortuna e rango ma anche di prestanza fisica e mentale. La diversità, quasi sempre confinata all’aspetto, continuerà nei secoli a garantire uno status speciale a questi personaggi, poi trasformati in bambole di corte che dalla sofisticata Mantova di Lodovico III Gonzaga alla Firenze di Cosimo I e dei suoi successori, non solo popolano di immagini sorprendenti le opere più auliche – una nana appare tra i ritratti di famiglia nella Camera degli Sposi del Mantegna, il nano Morgante spunta in più d’una scena nella decorazione di Palazzo Vecchio e alla base del monumento equestre di Cosimo I in piazza della Signoria – ma vengono fatti oggetto di un’attenzione allo stesso tempo morbosa e affettuosa, in indimenticabili ritratti commissionati ad artisti di grido. Considerati alla stregua di giocattoli viventi, di meraviglie della natura degne di una Wunderkammer, ma anche accorti consiglieri dotati di speciali licenze rispetto all’etichetta della corte, questi buffoni, nani, giocolieri spuntano dai documenti d’archivio con un’identità definita: vengono infatti ricordati per imprese (e talvolta misfatti) che li inseriscono come persone reali nella vita della corte, la cui biografia può esser tratteggiata con sapidi dettagli, e di molti si può chiarire l’alto spessore umano e culturale. La posizione dei buffoni, a metà strada tra il divertimento e la coscienza parlante del signore, li eleva a protagonisti di un’arte giocosa e bizzarra, che permette anche all’artista felicissime libertà espressive: e valgano da esempio i ritratti del nano Morgante di Bronzino e Valerio Cioli, i caramogi nelle Stagioni di Faustino Bocchi, il Meo Matto di Suttermans e tanti altri presenti in questa mostra, oltre alle figure silvane e occupate in strane attività che spuntano inaspettate tra le siepi del Giardino di Boboli. Nell’arte del Cinquecento, e in seguito, si assiste a una riabilitazione e sdoganamento del riso, che nel Medioevo – considerato una manifestazione diabolica – era stato relegato ai recessi più nascosti e inarrivabili delle cattedrali gotiche.In questa mostra, che realizza un vecchio progetto di Marco Chiarini rimasto nel cassetto, gli autori coraggiosamente affrontano un tema insolito e complesso, con utilissime escursioni nella letteratura e nella storia della medicina. Sarà difficile d’ora in poi visitare le nostre gallerie e passeggiare per la città senza riconoscere in molte statue e pitture i buffi amici dei signori di un tempo, ‘nuovi’ abitanti di un passato molto più variegato di quello che tramandano i manuali di storia dell’arte.

 

Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici
Andito degli Angiolini, Palazzo Pitti, Firenze
19 maggio – 11 settembre 2016

La mostra presenta alcuni dei più bizzarri e inaspettati soggetti figurativi ricorrenti nelle collezioni medicee che, tra Cinquecento e Settecento, trovarono significative, e talvolta curiose, rappresentazioni artistiche. Si tratta di scene cosiddette ‘di genere’, un universo figurativo che nella acclarata gerarchia della pittura barocca, permetteva di illustrare, spesso anche con intenti morali o didascalici, diversi aspetti comici della vita sociale e di corte, quei temi ritenuti, cioè, altrimenti bassi e privi di decoro, indegni di una pittura alta, di soggetto sacro, mitologico o storico.

Le opere selezionate, circa una trentina, provengono per la massima parte dai depositi della Galleria Palatina e dalla Galleria delle Statue e delle Pitture (entrambe facenti parte del complesso delle Gallerie degli Uffizi creato dalla recente riforma), e presentano al visitatore personaggi marginali e devianti come buffoni, contadini ignoranti o grotteschi, nani e praticanti di giochi tanto leciti che illeciti. Nella società apparentemente immobile dell’antico regime, cui danno volto nelle sale di Pitti i ritratti dei granduchi e dei gentiluomini della corte, la pittura ‘di genere’ diviene lo strumento critico che permette di attingere, attraverso l’arte, alla più variegata realtà del mondo.

Un campionario variopinto, quanto inaspettato, di personaggi della corte medicea, incarna l’ambivalente mondo della buffoneria, della rusticitas e del gioco. Sono spesso personaggi realmente vissuti, cui erano demandati l’intrattenimento e lo svago dei signori, antidoto alla noia sempre in agguato tra le maglie del rigido cerimoniale spagnolesco. Così dimostrano il grottesco più sgradevole del Nano Morgante del Bronzino e, all’opposto, la leziosità cortigiana dei Servitori di Cosimo III de’ Medici.

La comicità di questi soggetti, non esente nel profondo anche da risvolti drammatici o almeno malinconici, si declina nei buffoni di professione, qui rappresentati nei tre tipi: della parola – abilissimi nelle acrobazie verbali e nelle improvvisazioni di spirito -; del fisico – l’anomalia degli acondroplasici e dei deformi -; e, infine, della devianza mentale come il Meo Matto di Giusto Suttermans.

“Considerati alla stregua di giocattoli viventi, di meraviglie della natura degne di una Wunderkammer, ma anche accorti consiglieri dotati di speciali licenze rispetto all’etichetta della corte, questi buffoni, nani, giocolieri spuntano dai documenti d’archivio con un’identità definita: vengono infatti ricordati per imprese (e talvolta misfatti) che li inseriscono come persone reali nella vita della corte, la cui biografia può esser tratteggiata con sapidi dettagli, e di molti si può chiarire l’alto spessore umano e culturale. La posizione dei buffoni, a metà strada tra il divertimento e la coscienza parlante del signore, li eleva a protagonisti di un’arte giocosa e bizzarra, che permette anche all’artista felicissime libertà espressive: e valgano da esempio i ritratti del nano Morgante di Bronzino e Valerio Cioli, i caramogi nelle Stagioni di Faustino Bocchi, il Meo Matto di Suttermans e tanti altri presenti in questa mostra, oltre alle figure silvane e occupate in strane attività che spuntano inaspettate tra le siepi del Giardino di Boboli.” (E. D. Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi)

Partecipano inoltre alle buffonerie alcuni rustici, come la vecchia in abito di nozze, patetica corteggiatrice di un giovane garzone, smascherata da un nano impietosamente arguto in un quadro bellissimo della fine del Seicento, ma di incerta attribuzione, o come la contadina Domenica dalle Cascine, raffigurata dal Suttermans – ritrattista ufficiale dei granduchi – nel quadro omonimo, che risulta saltuariamente stipendiata dalla corte per prestazioni da “buffone”.

Appartengono invece al mondo della buffoneria di mestiere Alberto Tortelli e Giuliano Baldassarini raffigurati da Niccolò Cassana in veste venatoria, sospesi dunque tra il piano figurativo dell’ambientazione arcadica, non altrimenti qualificati di segni allusivi al ruolo svolto a corte, e quello della verità biografica che ce li restituisce al mestiere di addetti al divertimento del gran principe Ferdinando. Della serie dei servitori fa parte anche il magnifico quadruplice ritratto di Servi della corte medicea con cui Anton Domenico Gabbiani offre una sorta di regesto di forme e temi, qui antologizzati nel bizzarro campionario di personaggi – tra cui un nano, un gobbo, un moro – tutti realmente documentati come ‘prestatori d’opera’, servile o buffonesca, a palazzo.

Tra gli svaghi un posto non meno trascurabile di quello occupato dai suscitatori del riso avevano i giochi, nelle molteplici fattispecie di quelli di parola, da tavolo – in particolare le carte -, e quelli propriamente fisici. Non mancano testimonianze pittoriche, oltre che letterarie, di svariati personaggi di corte intenti all’esercizio di un gioco ginnico, come l’enigmatico Ritratto di giocatore con palla. Lo scenario meno lecito ed aulico dello svago, l’equivoca taverna ai margini dei ‘regolari’ confini della società, esercita una fascinazione sulla corte che ne ricerca e ne acquisisce le rappresentazioni alle proprie collezioni, come nel Suonatore di chitarra, riconducibile al Maestro dell’Incredulità di San Tommaso (alias Jean Ducamps?), in cui il giocatore/musico squaderna senza pudore sul tavolo, cui si appoggia, i proibitissimi dadi e un mazzo di carte. Similmente intriganti, nella loro dimensione di personaggi ‘irregolari’, e per questo ‘attirati’ all’occasione della presente esposizione, i protagonisti della movimentata Scena di gioco e chiromante in atto di leggere la mano di Nicolas Regnier o l’umanità errante e cenciosa dei Due cantastorie vagabondi, o quella appena più rassicurante dei Venditori ambulanti di Monsù Bernardo.

Le forme del comico si costruiscono dunque, nel percorso che si propone, per via del contrappunto tra norma e difformità, regola e sproporzioni, registro alto e sregolatezza. In questo gioco di (s)proporzioni, il brulicante e frenetico affollarsi di affaccendatissimi pigmei in alcune opere di Faustino Bocchi, tra cui il corteo de La mascherata di gnomi (Il gatto Mammone) e le minuscole nudità de I Nani al bagno immerse nella vacuità d’abisso notturno della lavagna su cui sono dipinte, rappresenta l’esito estremo della grammatica delle distorsioni, in cui il bresciano fu maestro. Non manca nemmeno il lampo demoniaco che la società attribuiva spesso, con enorme crudeltà, alla natura deforme nell’inquietante Banchetto grottesco di creature più o meno umane e fornite di corna e nello straordinario musical infernale di Orfeo nell’Ade di Joseph Heintz il giovane, dove caramogi e nani ballano su uno scalone da fare invidia ai migliori palcoscenici di Broadway. Assieme ai dipinti in mostra troviamo le sculture in marmo del Nano musicante di Agostino Ubaldini e del Nano con sonagli di Andrea di Michelangelo Ferrucci, oltre al bronzetto del Giambologna raffigurante l’Uccellatore, proveniente dal Museo Nazionale del Bargello. L’incisione col Ritratto di Bernardino Ricci detto il Tedeschino, a cui Stefano della Bella ha affidato il racconto di una delle personalità più interessanti della buffoneria di professione al servizio dei Medici nel primo Seicento, completa – in termini di confronto e completamento – le tematiche rappresentate dai dipinti.
A corredo della mostra è stato predisposto un itinerario nel Giardino di Boboli dove tutti questi personaggi, villani, contadini e nani, giocatori e caramogi si animano, pur pietrificati, e si nascondono nei boschetti e nelle radure come sfuggiti dall’universo pittorico che li ha creati, ad attendere i visitatori con calembour figurativi e comicissime espressioni.
In occasione della presente esposizione sono stati effettuati i restauri di 14 dipinti, 2 sculture e diverse cornici recuperate dai depositi.

La mostra a cura, come il catalogo edito da Sillabe, di Anna Bisceglia, Matteo Ceriana e Simona Mammana, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi e Firenze Musei.

Continua a leggere

Un ricordo di Busoni…

Vercelli3

Eduardo Vercelli Maffei con Carlo Zecchi

 

Ecco il ricordo di Antonioli di Carlo Zecchi che diresse il concerto nel 1961, ripreso anche dalla Rai in S. Agostino, a Empoli.

 

UN RICORDO DI BUSONI

Riporto un ricordo dell’amico Eugenio, nome italiano di Jean-Francois Antonioli, pianista e direttore d’orchestra di Losanna in visita al Centro Busoni di Empoli.

Un giorno Carlo Zecchi (Roma 1903-Salisburgo 1984), di cui Eugenio era assistente per une breve periodo nei corsi tenuti a Losanna nel 1980, raccontò che nel 1923 si volle recare a Berlino con una lettera di introduzione del professore Bajardi di Bologna per presentarsi a Busoni e chiedergli di poter prender lezioni da lui. Ferruccio gli disse che ciò era impossibile perché lui ormai si dedicava interamente alla composizione del Faust e non dava più lezioni di pianoforte ma solo di composizione; avrebbe potuto invece essere affidato al suo assistente e discepolo Egon Petri. Ma Zecchi si buttò ai suoi ginocchi e prese a stringere quelle sue portentose mani baciandole, supplicando: “Io son venuto per avere i suoi insegnamenti: ho affrontato venti ore di treno, voglio essere preparato solo da lei e da nessun altro! Sono italiano come Lei, farò tutto quello che mi verrà chiesto…”.

Busoni, fermo ma anche commosso per tale slancio, gli disse allora: “Ah si? Bene, si ripresenti da me fra tre giorni con le variazioni Goldberg di Bach”.

Zecchi si recò subito a comprare questo spartito che non conosceva e che a quel tempo non godeva ancora la fama che oggi ha, anche dopo le esecuzioni di Glenn Gould. Per tre giorni non fece altro che studiarle e suonarle giorno e notte, temendo di non essere capace di affrontare il capolavoro per intero.

Si presentò dunque trepidante il lunedì da Busoni, il quale per tre ore lo intrattenne sull’interpretazione solo del tema e delle prime due variazioni… Fu una lezione esaltante. Anche con sole tre ore di insegnamento di quel genio si rimaneva segnati per tutta la vita.

Chiese dunque a Busoni di poter rimanere presso di lui e che lo mettesse pure a fare qualsiasi cosa, pur di essergli utile; e così fu.

Zecchi ricordava quell’impresa forsennata di studio e se avesse immaginato che la prova che l’attendeva avrebbe riguardato solo i primi passaggi, si sarebbe potuto certo preparare meglio su quella sola parte. Ma ciò bastò a dare un nuovo indirizzo alla sua vita e alla sua interpretazione pianistica.

Poi Zecchi studiò la Kreisleriana di Schumann e, troppo spontaneo, chiese spudoratamente a Busoni di mettersi al pianoforte per fargli sentire come la concepiva; gli disse che siccome aveva un treno da prendere fra poche ore, avrebbero fatto prima invece di fermare la sua esecuzione per suggerimenti o per correggere, mutatis mutandis. Busoni da gran signore quale era sedette senza un commento, senza rimproverare il giovane che aveva osato formulare tale richiesta, si mise a suonare …Zecchi dice che ebbe l’impressione che l’opera 16 di Schumann fosse parte del repertorio del maestro; che forse non era fondata la voce secondo la quale Busoni fosse poco convinto all’opera di Schumann.

Busoni intervenne con premura presso un negozio di pianoforti a favore di Zecchi, chiedendo di lasciarlo studiare durante le ore di chiusura del locale. Quando Busoni lasciava Berlino per recarsi a Parigi, consentiva l’accesso ai suoi pianoforti da concerto Bechstein affinché questi allievi si potesse esercitare a lungo in tutta tranquillità. Metteva una condizione sine qua non: che studiasse solo Mozart. Gli disse: “Non essere stupido -quanto sono stato io- di dedicarti a Mozart troppo tardi”.

Zecchi promise di studiare questo repertorio allora piuttosto trascurato da lui fino a quel momento; ma non resistette alla tentazione di provare anche gli studi Paganini Liszt che erano allora al centro delle sue preoccupazioni. Quando Busoni fu di ritorno, fece un interrogatorio al giovane Zecchi.

Zecchi descriveva ad Antonioli la sala della musica del Maestro con i due gran coda con tale vivezza da renderla quasi tangibile al giovane ascoltatore, come fosse una esperienza anche da lui vissuta.

E quel racconto e quell’amore transitò in Eugenio, trasformando anche lui da allora in un appassionato busoniano.

Silvano Salvadori, (testimonianza raccolta il 5-5-16)


 

 

Cosimo Rosselli, la Madonna di San Piero Scheraggio

toscana 002

Madonna col Bambino in trono, angeli e i santi Nicola e Antonio abate, 1470 circa

Tavola, cm 1 55 x 187 – Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Proveniente dalla chiesa di San Pier Scheraggio, è pervenuta agli Uffizi in seguito alla soppressione degli enti ecclesiastici promossa da Pietro Leo­poldo di Lorena nel 1784. Fortemente impoverita da drastiche puliture, la pala d’altare è stata sottoposta a vari interventi di restauro, dei quali il più recente, condotto da Sandra Pucci, si è concluso nel 201 5.

Le ricerche di Hans Gronau (1935), approfondite poi da Edith Gabrielli (2007) e Nicoletta Pons (2011; e in Piero di Cosimo 201 5), hanno permesso di riconoscere nel dipinto la pala d’altare della cappella intitolata ai santi Nicola e Antonio abate fondata nella chiesa di San Pier Scheraggio fra il 1462 e il 1468 per volontà testamentaria di Mariano di Stefano Nese. Il dipinto fu allogato a Cosimo Rosselli nell’aprile 1470 e dunque, sebbene il maestro cominciasse a lavorare autonomamente già alla fine degli anni cinquanta del XV secolo, l’opera costituisce uno dei suoi lavori più antichi oggi noti.

Dalla scheda compilata da Daniela Parenti, nel Catalogo della mostra “Fece di scoltura di legname e colorì”, attualmente agli Uffizi.