Michelangelo, Tiberio Calcagni, e la Pietà fiorentina

WILLIAM E.  WALLACE

Michelangelo, Tiberio Calcagni, e la Pietà  fiorentina

Michelangelo, Tiberio Calcagni, and the Florentine “Pietà”

William E. Wallace, Artibus et Historiae

Vol. 21, No. 42 (2000), pp. 81-99

Trad. Andreina Mancini e Paolo Pianigiani (settembre 2019)

Ringrazio il Professor Wallace per avermi gentilmente permesso di tradurre il suo articolo e di pubblicarlo sul mio sito http://www.ilraccontodellarte.com

Paolo Pianigiani


In uno dei suoi sonetti più conosciuti Michelangelo fece questa riflessione: “Non ha l’ottimo artista alcun concetto/c’un marmo solo in sé non circonscriva/ col suo superchio, e solo a quella arriva/ la mano che ubbidisce all’intelletto …”1 A partire dal commento di Benedetto Varchi nel XVI secolo, questa poesia è stata la pietra miliare per interpretare la teoria artistica di Michelangelo. Inoltre, è in parte responsabile di un’immagine onnipresente dell’artista al lavoro: scolpendo il marmo Michelangelo ha semplicemente liberato una figura completamente imprigionata all’interno di un blocco appena sbozzato.2 Allo stesso modo, Giorgio Vasari ha descritto vividamente ma in modo impreciso la scultura di Michelangelo come un graduale uscire fuori dal blocco, come una figura che emerge mentre viene sollevata a poco a poco da una vasca d’acqua.3 Queste sono immagini avvincenti della creazione ma hanno poco a che fare con le realtà dello scolpire il marmo. La maggior parte delle sculture di Michelangelo, e in particolare la Pietà fiorentina [Fig. 1], racconta una storia più tortuosa e talvolta frustrata di dare vita a un materiale resistente e privo di spirito.

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Susanna Bernabei, una nuova rubrica…

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La nostra amica Susanna Bernabei, grafologa forense, inizia oggi la sua collaborazione al nostro sito. Anche la scrittura è una forma d’arte, consapevole o inconsapevole che dir si voglia… Sicuramente rivela aspetti della personalità di chi scrive, che arricchiranno indagini e scoperte su artisti e personaggi più o meno noti. Grazie Susanna!

La redazione


Grafologia:  una scienza umana sperimentale, un test proiettivo, un comportamento espressivo.

Dalle intuizioni espresse nel “Trattato” di Girolamo Moretti, il caposcuola italiano, ad oggi sono intervenute molte pubblicazioni, ricerche approfondite, confronti tra pensieri diversi, interdisciplinarietà  con altri saperi.

Questo ha reso sempre più visibile la grafologia che ha acquisito negli anni una effigie sempre più tecnico-scientifica epurandola di molti elementi misterico-esoterici.

In parole semplici si parla di un comportamento espressivo che a differenza degli altri ha la peculiarità di fissarsi nello spazio tale e quale una fotografia e, in tal modo, permanere agli occhi dell’osservatore senza che lo scrivente possa nascondersi o evitare di manifestarsi.

La scrittura, esplicazione di un bisogno innato umano di comunicazione  ma che inizialmente deriva da un addestramento, si trasforma in una gestualità automatizzata tale da potersi definire il comportamento spontaneo per eccellenza.

Questo ha permesso di individuarlo come test proiettivo non solo per la ricchezza di contenuti simbolici ma anche perché il soggetto/attore ha la possibilità di interagire con l’ambiente (lo spazio grafico) sviluppando un proprio unico film d’azione attraverso il dipanarsi del filo grafico.

Filo che al suo interno traduce il suo sentirsi interiore, il suo rapportarsi con l’esterno sia esso un rapporto individuale o di gruppo, riferibile alla famiglia o alla situazione lavorativa/studio.

E’ di conoscenza comune oggi far riferimento a scritture che se fossero state individuate come segnali di allarme avrebbero potuto evitare drammi familiari o situazioni al limite.

La scrittura quindi come messaggio, è rivolto alla collettività ma è anche un percorso individuale di autoconoscenza e di ricerca interiore.

Susanna Bernabei


 

Una tavola sconosciuta con San Sebastiano di Francesco di Giovanni Botticini

 

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Botticini - S.Sebastiano Siminetti

Da: Bollettino d’Arte, vol. 18 (1924-25), p. 337-350

(trascrizione di Paolo Pianigiani)

 

Francesco di Giovanni Botticini fu definito un « eclettico ». La sua arte divenne, per­tanto, come un alveo capace dove liberamen­te andarono a convergere e a confluire tutte le indeterminate correnti, le indecise attribu­zioni e le minori manifestazioni anonime della pittura fiorentina del XV secolo, le quali, mo­vendo da Domenico Veneziano sino al Baldovinetti, al Verrocchio e al Ghirlandaio, dai Pollaiolo al Botticelli e a Cosimo Rosselli, si poterono riconnettere in qualche modo, sti­listicamente, a questi artisti. Continua a leggere

Un angelo con i jeans strappati

 

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di Paolo Pianigiani

Anzi, per la precisione e a rispettare i gradi, di un Arcangelo. Quello raffigurato da Jacopo Carrucci, correva all’incirca l’anno 1519, sulla tavola destra (di chi guarda) posta nella nicchia che custodisce il crocifisso, nella chiesa di San Michele, a Pontorme, è appunto l’Arcangelo San Michele.

Il diavolino qui è visto e immaginato al posto del solito drago o del diavolone di turno, brutto di suo, riprodotti a scelta e a iosa in tanti altri dipinti di carattere religioso.

E che fa questo diavolino, munito di alucce di pipistrello appena spuntate?

Tiene in mano il mondo, o al limite, una mela, quella fatale ad Adamo e di conseguenza a tutti noi, hanno detto e dichiarato i più, anche i grandissimi fra i critici d’arte, guardando in superficie il dipinto.

Macchè mondo o mela… guardiamo bene: si tratta del secondo piattino della bilancia, l’altro attributo indispensabile all’Arcangelo, sul quale finiremo tutti, uno per uno, secondo le previsioni della dottrina cattolica, alla fine dei tempi. Bene ha visto e indicato Cristina Gelli, dell’Ufficio Cultura del comune di Empoli, in un recente saggio dedicato al dittico del Pontormo. Continua a leggere

Gelosi, Impazienti e dimenticati

gelosi

 

 

A Firenze c’erano le Accademie degli Umidi (fondata nel 1540), degli Apatisti (1635), del Cimento (1657), dei Georgofili; a Livorno era attiva quella dei Curiosi, a Prato quella degli Infecondi (1715), a Siena quella degli Intronati, a San Miniato quella degli Euteleti (1822), a Volterra quella dei Sepolti…

A Milano c’era quella dei Pugni, a Bologna quella degli Incamminati…

Erano libere associazioni di persone, che si davano uno statuto e una missione: per esempio diffondere l’arte, la letteratura, la scienza… o gestire un teatro.

Come l’Accademia degli Immobili che nei 1652 costruì l’attuale Teatro della Pergola o quella degli Infocati, che costruì il Teatro del Cocomero, oggi noto come  Teatro Niccolini.

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