Un angelo con i jeans strappati

 

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di Paolo Pianigiani

Anzi, per la precisione e a rispettare i gradi, di un Arcangelo. Quello raffigurato da Jacopo Carrucci, correva all’incirca l’anno 1519, sulla tavola destra (di chi guarda) posta nella nicchia che custodisce il crocifisso, nella chiesa di San Michele, a Pontorme, è appunto l’Arcangelo San Michele.

Il diavolino qui è visto e immaginato al posto del solito drago o del diavolone di turno, brutto di suo, riprodotti a scelta e a iosa in tanti altri dipinti di carattere religioso.

E che fa questo diavolino, munito di alucce di pipistrello appena spuntate?

Tiene in mano il mondo, o al limite, una mela, quella fatale ad Adamo e di conseguenza a tutti noi, hanno detto e dichiarato i più, anche i grandissimi fra i critici d’arte, guardando in superficie il dipinto.

Macchè mondo o mela… guardiamo bene: si tratta del secondo piattino della bilancia, l’altro attributo indispensabile all’Arcangelo, sul quale finiremo tutti, uno per uno, secondo le previsioni della dottrina cattolica, alla fine dei tempi. Bene ha visto e indicato Cristina Gelli, dell’Ufficio Cultura del comune di Empoli, in un recente saggio dedicato al dittico del Pontormo.

Ed è tutto scritto e profetizzato nell’Apocalisse: dopo aver guidato le vincitrici truppe del bene, contro le perdenti, già in partenza e per profezia certissima, orde del male, l’Arcangelo Michele si prenderà la briga di pesarci, uno per uno, noi, che nel frattempo saremo tutti quanti risorti, con questa sua speciale bilancina di precisione: e guai a chi la farà pendere dalla parte sbagliata…

E’ da sperare che sotto di lui non ci sarà questo diavolino dispettoso, intravisto dal Pontormo, ad arrovesciare il piatto e destinare a tristi e dolenti eternità il malcapitato di turno…

Il diavolino ha un’espressione sofferente e il gesto, tutto di mancina, di acchiappare lo scodellino della bilancia, sembra proprio un gesto di rabbia. A ben guardare infatti pare che si sia preso una sciabolata da qualche angelo guerriero e che gli sia rimasta una ferita dietro al braccio destro. Inoltre lo spadone alzato dell’arcangelo Michele promette poco di buono, e sembra dirgli:

O nìni, se non tu posi il piattino, tu vedi che ti succede!

Come da tradizione, Jacopo dipinse per la chiesa del suo borgo natale un arcangelo San Michele armato di tutto punto: la spada, lo scudo rotondo, l’armatura di derivazione romana.

Ci mette di suo una specie di calzamaglia attillata, che sarà ripresa anche nelle figure splendide di Santa Felicita, a Firenze, nella sua celebre “Deposizione”.

La sua fantasia lo portò a modificare però alcuni dettagli: i ginocchi sbucciati (ma non feriti, essendo il condottiero degli eserciti del bene, già in partenza immortale e invulnerabile) e il diavolino tenuto fermo dal suo piede dominatore che, in attesa del colpo finale, s’ingegna come può, da sotto,  a guadagnare al male,  l’ultima anima. E anche con l’imbroglio!

Non si tratta di anticipazioni di jeans strappucchiati di oggi, quindi, a presagire le mode future e stracciarole, ma segni appena evidenti della battaglia appena vinta, conclusasi con qualche strappino ai fuseau o alla calzamaglia o a cosa il nostro imprevedibile Jacopo aveva fatto indossare al comandante supremo, a pelle, insieme agli scaldamuscoli arancioni, sotto l’armatura.

Dall’altra parte, come a bilanciare la scena, Jacopo dipinse la figura, tutta attorcigliata e avvolta a spirale, quasi fosse un discobolo in procinto di lanciare, di San Giovanni Evangelista. Munito di barba e di anni, è in tutto simile a quello raffigurato in un tondo, sul soffitto, in Santa Felicita a Firenze; qui riflette pensieroso e astratto sulla visione di San Michele e scrive all’impiedi, un po’ instabile, con la sua penna d’oca, l’“Apocalisse”. L’aquila, a suo fianco, è il suo simbolo, che la tradizione da sempre gli attribuisce.

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