Annamaria Giusti, Museo della Collegiata, Chiese di S. Andrea e S. Stefano

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Nel lontano 1988, la dott.ssa Annamaria Giusti compilò per l’editore Calderini di Bologna una guida ai beni artistici empolesi che è, a mio parere, la migliore tuttora disponibile, sia per l’accuratezza delle schede delle opere d’arte, che per la sua completezza. Un documentato servizio fotografico accompagna il testo e, pur limitato alle tecniche disponibili in quel periodo, rende perfettamente l’idea dell’alta qualità del nostro patrimonio.

Ho chiesto alla dott.ssa Giusti il permesso di ripubblicare sul nostro sito alcuni estratti del suo volume, ormai introvabile, e lei è stata ben lieta di accordarcelo.

Iniziamo con l’introduzione, dove si delinea il piano dell’opera e si inquadra la nascita del nostro Museo, che trae origine nel lontano 1859 dal desiderio di alcuni empolesi di salvaguardare e raccogliere le opere d’arte sparse per corridoi e magazzini della Collegiata e rischio di scomparire per i cambi di moda intervenuti nei secoli.

Recentemente la dott.ssa Giusti, già Direttore dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è intervenuta ad un convegno in Santagostino, e ha sottolineato il suo interesse per Empoli, iniziato in occasione della stesura di questo libro e rimasto immutato negli anni. E naturalmente, da empolesi, gliene siamo grati.

Paolo Pianigiani

Annamaria Giusti

Il piccolo ma rappresentativo Museo della Collegiata di Sant’Andrea in Empoli, alloggiato negli ambienti della Propositura, custodisce una raccolta di opere, in prevalenza dipinti e sculture, provenienti dalla Collegiata, da chiese di Empoli e del territorio, e dalle donazioni di privati cittadini.

Nel Museo sono presenti capolavori di conclamata celebrità quali il San Sebastiano marmoreo di Antonio Rossellino, la Pietà ad affresco di Masolino, l’Annunciazione scultorea di Bernardo Rossellino, la piccola Maestà dipinta da Filippo Lippi; accanto a queste e ad altre opere di indiscussa rilevanza artistica, il cospicuo nucleo di dipinti su tavola dei «petits maîtres» del ‘300 e ‘400 fiorentino, o la serie dei rilievi robbiani, ma anche certi stessi prodotti «minori» contribuiscono a delineare, almeno per il periodo compreso tra il ‘300 e il ‘600, l’immagine di un ambiente artisticamente periferico ma caratterizzato da una vivace attenzione e da un’intraprendente committenza, orientate e aggiornate verso la produzione dei vicini centri artistici e primieramente di Firenze.

Così come è oggi la raccolta si è andata costituendo nel corso di oltre un secolo di vita: il Museo della Collegiata infatti si distingue per essere in Toscana tra quelli ecclesiastici di fondazione più antica. La sua nascita si colloca nel 1859, nel fervido periodo della formazione del nuovo Stato nazionale, allorché il Ministro degli Affari Ecclesiastici del Governo Provvisorio di Toscana, che per l’appunto era l’empolese Vincenzo Salvagnoli, accoglieva una richiesta dell’Opera di Sant’Andrea concedendo un sussidio di L. 5040, finalizzate in particolare al restauro del «monumenti d’arte» della Collegiata. L’anno seguente la cappella di San Lorenzo, attigua alla chiesa e già sede di una Compagnia soppressa, veniva adibita a luogo di raccolta delle opere che nel 1863 venivano registrate, in numero di 54, nell’inventario ufficiale compilato dal R. Ispettore Carlo Pini. Si trattava per la maggior parte di opere provenienti dalla Collegiata e che rimosse dalla loro collocazione a seguito soprattutto delle ristrutturazioni seicentesche e settecentesche della chiesa, a lungo «… giacquero abbandonate e ignorate nelle sacrestie, nelle stanze del Capitolo, nei corridoi e perfino nei magazzini», come ricorda il Carocci, autore della successiva sistemazione museale di fine ‘800.

Se questo primo ordinamento aveva il merito di vincolare la raccolta artistica alla sua sede storica, impedendo ulteriori dispersioni degli arredi della Collegiata, già fortemente depauperata, non era tuttavia tale da garantire la visibilità né la buona conservazione delle opere. È quanto segnalava un indignato articolo a firma di Michele Caffi, comparso nel 1883 su «Arte e Storia», che definiva la cappella di San Lorenzo «umida ghiacciaia ove rinviensi una serie di preziosi oggetti dannati ad un prossimo quasi inevitabile deperimento». Sullo stesso periodico il Carocci auspicava che le giuste contestazioni del Caffi contribuissero a sollecitare una nuova e più idonea sistemazione della raccolta, nel frattempo notevolmente accresciuta per l’arrivo di opere da Santo Stefano degli Agostiniani, l’altra importante chiesa cittadina, da enti ecclesiastici soppressi del territorio empolese e da donazioni di famiglie locali, quali i Cannoni, i Del Vivo, i Gozzini e i Romagnoli, che anche quel contributo tuttora fondamentale per la conoscenza delle opere d’arte del Museo e della città che è Empoli artistica di Odoardo Giglioli.

La crescente notorietà del Museo dovette certo influire sulla decisione della Soprintendenza di Firenze di attuare, verso la fine degli anni ’30, il trasferimento della raccolta in locali più ampi e adeguati, nell’edificio della Propositura attiguo alla Collegiata che costituisce la sede attuale del Museo, e di procedere ad un nuovo ordinamento delle opere secondo criteri più moderni. Nel 1939 Piero Sanpaolesi formulava il progetto museale, che prevedeva l’utilizzazione di alcuni ambienti della canonica, la creazione di due grandi sale per le pitture e le opere di maggior mole, e il restauro del chiostro destinato ad ospitare nei loggiati robbiane e sculture. La realizzazione del progetto fu avviata ma interrotta dagli eventi bellici, che anzi col bombardamento del luglio 1944 determinarono la rovina quasi completa della Collegiata e dei locali destinati al nuovo Museo. La maggior parte delle opere poterono essere preservate in quanto già trasferite a Firenze, ma tavole del Cigoli, dell’Empoli, del Ligozzi rimaste nella Collegiata andarono distrutte, assieme ad una Deposizione di Francesco Botticini della Galleria dell’Accademia di Firenze, in deposito presso il Museo.

Nel dopoguerra, l’opera di ricostruzione della Collegiata e dei locali destinati al Museo procedette di pari passo con il restauro dei pezzi, affidati al Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza fiorentina e presentati in nuclei cospicui nelle mostre di opere restaurate degli anni immediatamente successivi alla guerra. Nel 1956 si potè giungere infine alla inaugurazione del nuovo Museo, strutturato da Guido Morozzi e ordinato da Umberto Baldini, e rimasto da allora sostanzialmente immutato, se si eccettuano alcune piccole aggiunte e varianti nella disposizione delle opere.

Arricchita da una serie considerevole di pezzi provenienti da chiese ed enti cittadini, la raccolta dei dipinti, sculture, affreschi staccati ed arredi fu distribuita nelle due sale del piano terreno, che comprendono la sede dell’antico Battistero, e nelle quattro del piano superiore, cui si aggiungono tre lati del loggiato superiore del chiostro, destinati alle robbiane e alle sculture in terracotta.

I criteri ispiratori dell’ordinamento, illustrati dallo stesso Baldini nel suo Itinerario del Museo (1957), mirarono a conferire rilievo alle opere emergenti per imponenza e qualità artistica, stabilendo fra i diversi pezzi relazioni di decoratività.

Al momento attuale è allo studio delle due Soprintendenze fiorentine un progetto di ampliamento del Museo, che consenta l’esposizione di suppellettili liturgiche e arredi della Collegiata e di altre chiese del territorio empolese, e soprattutto una ristrutturazione che salvaguardi le esigenze di stabile conservazione delle opere, in particolare dei dipinti su tavola che formano il nucleo più consistente ed hanno specialmente sofferto per le forti escursioni termiche degli ambienti, soffittati da ampie vetrate.


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