Analizza infatti i lavori per il Weissenhof di Stoccarda (1925-’27), il notissimo Padiglione tedesco all’Esposizione internazionale di Barcellona (’28-’29), Villa Tugendhat, a Brno (’28’29), che rappresentano la sintesi di un percorso formativo di estrema coerenza. Una sezione della mostra è dedicata al design di oggetti di arredo realizzati da Mies dal ’27 al ’31, che l’architetto presentava nel contesto della sua architettura, fino alla notissima poltrona Barcellona, realizzata per il Padiglione dell’Esposizione, ad evidenziare la stretta interdipendenza tra architettura e design nel suo lavoro.

Accanto a questi alcuni arredi di altri progettisti (Breuer, Reich, Stam…), realizzati sempre in struttura metallica, di cui, comunque, alcuni facevano parte di quelli collocati da Mies nella sua architettura. Prototipi, modelli di architettura, progetti, disegni, grandi fotografie e manifesti, completano questo panorama.

A differenza degli altri Maestri dell’architettura moderna (Wright, Le Corbusier…) Mies van der Rohe può esser considerato un “classico”, perché nel suo passare dalla tipologia alla costruzione, e da qui alla forma, passaggi alla cui definizione egli perviene attraverso i principi di “ordine”, “proporzione”, “decoro” (“decoro” che non è da confondere con I’ornamento” esecrato da Loos, ma si rifà aI significato latino di “decus” = onore, dignità, decoro, da cui “decoroso”), egli raggiunge quello che intende per “moderno”.

Egli non passa attraverso la rivoluzione delle avanguardie, ma attraverso la rilettura della storia dell’architettura nella sua possibilità di rapportarsi al suo momento, rinnovandosi, per così dire, dall’interno. Anche se i suoi riferimenti contemporanei sono Berlage e Behrens (ma lo sarà, per molti versi, il concetto di pianta aperta di Wright), è alla Grecia che egli guarda, e all’architettura gotica. Sono le basi attraverso le quali egli arriva a quello che, appunto, definisce “moderno”. “Una architettura” scrive “stabilisce la forma di una vita reale”.

Parte dall’analisi della città: “Le città sono strumenti della vita; devono essere al servizio della vita, sono da misurare sulla vita e da progettare in funzione della vita”. Vede la città nel suo rapporto con la natura, e la casa nel suo rapporto col suolo e col luogo. “Perché la natura dice sempre il vero, le forme architettoniche dicono la verità di un certo tempo”.

Di qui la sua attenzione primaria verso la tecnologia, espressione del suo tempo. “Sentivo che avrebbe potuto esser possibile armonizzare, nella nostra civiltà, forze vecchie e nuove”.
E ancora: “La vera architettura è sempre oggettiva, ed è espressione dell’intima struttura dell’epoca nel cui contesto di sviluppa”.
Ma aggiunge: “Là dove il problema tecnico è superato inizia l’ architettura”.

I Weissenhof Siedlung Apartments rappresentano la prima proposta urbanistica per un gruppo di alloggi nella periferia di Stoccarda, che furono realizzati da architetti come Scharoun, Le Corbusier, Behrens, chiamati da Mies, che realizzò il blocco principale, sviluppato su quattro piani, con ventiquattro alloggi.

E la prima costruzione con struttura in acciaio, a mezzo della quale egli raggiunge una distribuzione flessibile e libera degli spazi, delimitati da pareti divisorie fisse o mobili in materiali leggeri (tema che gia aveva sviluppato nei progetti della Casa di campagna in cemento e della Casa in mattoni, presso Potsdam (’22-’23).
Nel progetto di Stoccarda, ad eccezione delle pareti della cucina e dei bagni, tutte le altre partiture verticali sono mobili e non portanti, aumentando la libertà degli spazi interni.

Nel 1928 Mies van der Rohe fu nominato direttore artistico della progettazione di tutte le delegazioni tedesche per l’Esposizione Internazionale di Barcellona. II progetto doveva, nelle intenzioni del Reich, recuperare il prestigio che la Germania aveva perso nella Prima Guerra mondiale e servire come cornice per le attività diplomatiche tese a promuovere il commercio e le relazioni internazionali.

Tra l’altro, la Barcellona era destinata ad accogliere i reali spagnoli (che non la usarono…). Eretto su un basamento rettangolare lungo 56,5 metri, delimitato da muri consistenti in una armatura metallica con un rivestimento in marmo, indipendenti dal sistema strutturale dei pilastri, il Padiglione consiste in un grande spazio libero. La copertura, una lastra leggera, poggia su otto pilastri cruciformi, sottilissimi, di acciaio.

Le divisioni interne: lastre di marmo dal colore verde dorato, travertino, onice dorato e lastre di vetro.
Stagni poco profondi occupano parte della superficie, rendendo ancora più leggero e come indefinito lo spazio, immerso nella natura circostante, illuminato dalla varietà dei riflessi delle chiusure in vetro e del marmo dorato.
Questo padiglione, distrutto dopo l’esposizione, è stato ricostruito da Ignasi de Solà Morales alla fine degli anni Ottanta.

Nell’organizzazione dei volumi, nella proporzione delle strutture, nell’estrema semplicità ed eleganza dei particolari, nel rapporto esatto dei materiali, rappresenta, per Mies, una sorta di manifesto della sua concezione dell’abitare, che troverà piena definizione nella Tugendhat House, il terzo progetto presente in questa mostra.

II terreno in pendenza, nella località morava di Brno, ha permesso di ridurre l’altezza della costruzione, il cui ingresso, ad un solo piano, nella parte più alta del terreno, immette nella zona delle camere dei bambini, ospita le stanze di servizio, il garage e una grande terrazza verso la città. Al piano inferiore la cucina, il pranzo, delimitato da una parete semicircolare in ebano, il soggiorno, spartito da una parete di onice bianco e dorato. Le pareti, come nel padiglione di Barcellona, sono completamente libere, essendo la struttura formata da un sistema di sottilissimi pilastri cruciformi in acciaio inossidabile all’interno, zincati all’esterno. La trasparenza delle vetrate (quella che da sul giardino può scorrere e sparire nel pavimento), i riflessi delle pareti (onice e vetro), mettono la casa continuamente in relazione diretta con la natura.

Negli Stati Uniti, Mies porterà ancora avanti questa sua impostazione progettuale con la Casa in vetro e metallo di Edith Farnsworth, a Fox River, nell’Illinois, del ’51: sul prato tre piattaforme, una per il pavimento, a sua volta raccordata a terra da lastre-gradino più piccole, una per la copertura, sorrette da sottili pilastri, che appare come librata nel vuoto. Coi grandi lavori che seguiranno, dai Lake Shore Orive Apartments, a Chicago (’48-’49, il primo grattacielo a struttura metallica americano), al notissimo Seagram Building a New York (’58-’59), il suo metodo costruttivo dovrà, in parte, adeguarsi alle leggi delle città americane, senza, peraltro, rinunciare ai suoi principi di “ordine”, “proporzione”, “decoro”.
Mies è stato imitato fino all’accademia, solo perché le sue forme si prestavano alla prefabbricazione, ma raramente capito nella sua forza di rinnovamento del linguaggio dell’architettura e del design.

Scritto in collaborazione con Pino Brugellis e Claudio Nardi

Prima pubblicazione: 3 ottobre 2003

Lara Vinca Masini: Mies van der Rohe a Firenze

Una tavola “ritrovata” di Giovanni Antonio Sogliani

Il Restauro della tavola

di Giovanni Antonio Sogliani

nella Chiesa di San Donato in Greti Vinci

Il restauro eseguito dalla Dottoressa Sandra Pucci è stato promosso dal ROTARY CLUB EMPOLI

Direzione del Restauro: Dott. Mauro Becucci, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato


E’ stato sostenuto dal
COMUNE DI VINCI
e dal
ROTARY CLUB EMPOLI nelle annate 2020/21
Pres. Dott. Luca Bartali 2021/22
Pres. Arch. Giuseppe Pisacreta

Pala di Giovanni Antonio Sogliani a san Donato in Greti
Particolari Prima e dopo il restauro. Foto Claudio Giusti

IL RESTAURO

di Sandra Pucci Restauratrice

La storia conservativa della tavola del Sogliani comprende un periodo, relativamente recente, di incredibile esposizione diretta alle intemperie a causa del grave degrado in cui versava, e versa ancora oggi, l’edificio sacro che la ospitava. L’esigenza primaria dell’intervento di restauro riguardava la messa in sicurezza, con urgenza, del film pittorico. Le innumerevoli lacune erano dovute probabilmente ad incompatibilità materica tra la preparazione ed il colore, a lungo sollecitati, inoltre, da escursioni termiche ed igrometriche che non hanno certamente giovato al buon invecchiamento degli strati e alla tenuta degli stessi strati tra di loro; danni derivanti da questa problematica di tipo strutturale si erano già verificati, in passato, su tutta la superficie, come si è potuto vedere dalle tante diffuse stuccature emerse durante la fase della pulitura ed imputabili a tale situazione.

Continua a leggere

Firenze dagli anni Trenta al Dopoguerra

Firenze, 10 giugno 2022 – Lunedì 13 giugno alle 17.00 al Teatro Niccolini (via Ricasoli, 3) il professor Marco Fagioli discuterà col giornalista Marco Hagge della cultura artistica a Firenze dagli anni Trenta del secolo scorso al secondo dopoguerra. L’incontro, parte del ciclo Lezioni di Storia, è a ingresso libero fino a esaurimento posti (info tel. 055 0946404 – 055 7378721).

Fagioli (Firenze, 1944) è autore di saggi e cataloghi sulla pittura cinese e giapponese, oltre che di importanti monografie su Munch, Schiele, Tolouse-Lautrec. Studioso del postimpressionismo, si è occupato anche del rapporto tra arte moderna, primitivismo ed esotismo. “La storia della cultura artistica fiorentina del ’900 è complessa”, spiega, “e finora si è indagato maggiormente sulla letteratura rispetto alle arti visive. La critica d’arte nel suo insieme ha approfondito il discorso sull’aspetto formale, trascurando invece il contesto sociale e il rapporto tra storia civile e forme di espressione”. La conferenza prenderà spunto da tre grandi “congiunzioni”, ossia la stagione delle riviste «Lacerba» e «La voce» nel primo dopoguerra, «Solaria» negli anni Trenta e infine «Il Frontespizio», per poi approfondire i movimenti che culminarono nel Fronte Nuovo delle Arti e nel Manifesto dell’Astrattismo Classico. Si approfondiranno le figure centrali di questa feriva stagione, da Soffici a Rosai nella pittura, a Andreotti a Marini nella scultura, e le loro diverse eredità. 


Gherardo Del Lungo (335 1373725)
Eventi Pagliai s.r.l.tel. +39 055 7378721
press@eventipagliai.com

Olinto Pogni e la Madonna del Pozzo

Dal Fondo Emilio Mancini, Firenze

                    Sorge l’Oratorio sulle rovine di un albergo.

Sul Campaccio degli Alessandri (così chiamava il popolo un terreno fuori e presso la Porta Fiorentina di Empoli, lasciato da quella famiglia, che ne era proprietaria, inculto ed in perfetto abbandono) terreno che oggi, mutato affatto aspetto, ha potuto assumere il nome ufficiale di Piazza Vittorio Emanuele, ed è una delle migliori piazze della nostra Città, esisteva nel medio evo, come a molti è noto, un albergo assai ampio e provvisto, dal titolo della Cervia. Era stato lasciato con testamento del 27 Marzo 1441 da Piero (1) di Donato di Pierone (2) da Castelfranco di Sopra, alla Compagnia laicale di S. Andrea d’ Empoli, perchè col provento di quello avesse miglior modo di mantenere lo Spedale che essa teneva aperto nella Via dei Guiducci (oggi Via de’ Neri), per i viandanti poveri. Un incendio che venne a suscitarvisi il 18 Marzo del 1523 (s. c.) lo ridusse in stato affatto ruinoso. La Compagnia, dopo molta ponderazione, deliberò di non provvederne il restauro, stante che l’utile non avrebbe compensato la spesa punto indifferente del risarcimento.

Sopra una muraglia estremamente danneggiata, rimaneva ancora intatto un tabernacolo ove era affrescata, da pittore ignoto, la Vergine col pargoletto Gesù, assisa in mezzo ai Santi Giovanni Battista e Andrea apostolo patroni del castello ealtri due, creduti S. Jacopo Ap. (3) e S. Antonio Ab. L’ Imagine principale aveva un segno, come di lividura, sul ciglio destro, che il popolo credette miracolosa in conseguenza d’un fatto empio avvenuto, ma che qualcuno potrebbe ritener saggiamente tracciato a bella posta dal pittore (come fu fatto ad altre imagini) per muovere il cuore di chi mirava quella Madonna, a non voler commettere in sua presenza alcuna vituperevole azione, da cui potessero restare offesi gli occhi della più pura fra le vergini.

I   devoti dissero: si faccia in questo luogo una cappella, e vi si racchiuda il tabernacolo.

La Compagnia accolse tosto, ben volentieri, quel voto, e con oblazioni raccolte tra i fedeli fece fabbricare un piccolo Oratorio, ove, con l’Imagine, venne a rimaner rinchiuso un pozzo di buona acqua che sul terreno sottostante a quel tabernacolo si trovava: (4) acqua che, da quel giorno, il devoto popolo empolese riguardò come santificata e quasi miracolosa, attingendone sovente per ottenere guarigioni.

Il   primo ricordo che si abbia di questo Oratorio, dedicato alla Madre di Dio, che poi si appellò la Madonna di fuori (cioè fuori di porta) e più tardi (più specialmente dopo la demolizione della Porta Fiorentina) la Madonna del Pozzo, è del 1530, rilevato da un libretto d’entrata e uscita dell’Opera della Chiesa di S. Andrea d’Empoli, dove si è preso questo appunto:  « Et più lire una per la festa di S. Marco alla chapella di fuora ». Senza dubbio, a mio avviso, la notizia si riferisce alla sosta fatta dal clero della Collegiata empolese, nel tempo della processione del primo giorno delle Rogazioni, ove forse (come era costume farsi nelle altre chiese) fu cantata la Messa innanzi la venerata Imagine.

Perchè questa, poi, rimanesse in maggior venerazione dei devoti, sembra si decidesse dalla detta Compagnia (cui l’Oratorio apparteneva, prima del passaggio di tutte le sue ragioni e beni all’Opera di S. Andrea) che l’Imagine stessa non rimanesse scoperta durante l’anno, ma si dovesse solamente in alcune festività ed in altre precise ciscostanze, specialmente di pubblica necessità, mostrare al popolo. E per tale scopo si fece dipingere a valente pittore una tavola, con gli stessi ricordati Santi Giovanni ed Andrea, da stare alla parete dell’altare, dinanzi al tabernacolo; la qual tavola aveva un vano o apertura semicircolare sulla parte centrale, chiusa da cortina, di dove in dette occasioni potesse vedersi il dipinto del tabernacolo. In questo quadro, tralasciando forse per modestia il proprio nome, l’esimio pittore, con la invocazione Regina coeli laetare, alleluia, aveva scritto la data del suo lavoro: A. D. MDXXXXIII, come lo storico Luigi Lazzeri riferisce nelle sue memorie inedite. Dove detta tavola sia stata portata da una parete dell’Oratorio ove l’avevano collocata, dopo di essere stata tolta dall’altare, non sappiamo. Riteniamo che sia andata distrutta. Il quadro simile, in tela, sostituitole, si conserva nella Pinacoteca.

Nel 1555 abbiamo un’entrata risultante  « dalla cassa della Madonna » cioè da una cassetta di elemosine che si teneva nell’Oratorio, o più probabilmente all’esterno presso la porta, e dove le persone pie deponevano il loro obolo per il mantenimento del modesto altare e per altre occorrenze del culto. E troviamo che nell’anno stesso si spese « per cera compra per la Madonna, lire 46, soldi 11 e denari 8…. et più per candele per la Madonna lire ventinove, soldi sette e denari 8 », somma certo non indifferente per quei tempi, anche se durante quell’anno in tal genere non se ne facesse altra; il che dimostra esser già l’Oratorio assai frequentato e sufficientemente ufiziato.

In quest’anno si pagò anche lire 1 e soldi 16 «a Santi Grazini sagrestano della Madonna, per il suo tempo ». L’anno appresso viene ricordato un Messer Francesco Brogiotti «sagrestano della Madonna», cui si dava l’annuo salario di lire 5 e soldi 6; salario che nel 1558 gli venne aumentato fino a lire 7. In quel tempo un tale Battista di Ciapo accattava l’olio per fornire la lampada che di continuo doveva ardere davanti all’Imagine, al quale si pagava per il suo incomodo lire 2 e soldi 10 (Ved. libro B di Debitori e Creditori dell’Opera, pp.44, 45 e 47).

Si faceva però anche la questua in denaro tra il popolo, perché è ricordato che la Compagnia paga lire 2 e soldi a «Sebastiano di Morellone per aver accattato per la nostra Madonna ».

In detto anno Santi, fabbro, fa i ferramenti per due finestre, che dovevano esser quelle che si trovano ai lati della porta dell’Oratorio, costruitevi perchè i viandanti potessero aver comodo in qualunque tempo di vedere da quelle l’altare della Madonna.

I Preti del Capitolo della Collegiata nel giorno della festa titolare, cioè nel giorno della Natività di Maria Vergine, del 1561, vi si recavano a cantare il Vespro, ai quali si dettero in limosina lire dodici e quattro soldi.

Per maggior difesa e decoro del luogo sacro, si pensò l’anno appresso di costruire un muro di cinta all’Oratorio stesso, per il quale si spesero in staia diciotto di calcina, in dodici opre di maestro e venticinque di manovale, lire ottantuna, soldi dodici e denari quattro. Si disfece allora altra parte dei fondamenti del distrutto albergo.

Per ragione di Visita Pastorale, si recavano il 2 Dicembre 1568 all’Oratorio, l’Arcivescovo Altoviti e i Canonici convisitatori. Negli Atti di quella visita, si ha questo ricordo:

«Reverendissimus Archiepiscopus una cum Domino Renato, Canonico, visitavit Cappellaniam sub invocatione Beatae Mariae Virginis extra portam Florentinam, quem costructa fuit annis abhinc XXI. In dicto loco erat quidem puteus cum Tabernaculo ubi moltitudo populi ex devotione confluebat; et constructa fuit dicta Cap.a, et Confratres Societatis  Sancti Andreae helemosinas erogandi curam habent, et dictam cappellaniam manutenent. Et in solo dìctae Societatis constructa fuit. Celebratur in ea secundum helemosinas quae efferuntur. Locus est decens, et constructa quadam volta nihil in ea resarciendum ».

Se le altre notizie corrispondono a verità, non è affatto esatta quella che fa assegnare al 1547 la fabbrica dell’ Oratorio medesimo che, per quanto si rileva dai pubblicati documenti, esisteva molti anni prima. Credo che l’estensore dì quell’atto abbia errato, scrivendo « annis ab hinc XXI» invece di XLI, che secondo il computo, darebbe per data il 1527, la qual data si potrebbe sicuramente accettare come vera.

Sarebbe quindi sorto tale edificio due anni dopo la peste che desolò assai anche la terra di Empoli (5), nel qual tempo a quell’ Imagine devono aver ricorso fiduciosi gli infetti dall’epidemia che venivano recati alle capanne costruite in Bisarnello, e forse sullo stesso Campaccio. Non sarebbe anzi fuori di luogo il pensare che, in quella funesta occasione, ne facessero voto alla Madonna.

Le parole del riferito documento « constructa quadam volta » c’inducono a credere che l’Oratorio avesse il soffitto completamente a travatura, e che il Visitatore abbia ordinato che, almeno al disopra dell’altare, si costruisse la volta.

Quanto al suo arredamento, in questo secolo, non abbiamo notizia d’altro che di due candelieri d’ottone che tuttora vi rimangono, e sono i più grandi, sul piede dei quali è inciso il nome del pio benefattore, con la data del lavoro da esso stesso eseguito: Andrea di Mariotto Ferranti, 1573; ma la divozione che aveva il popolo per la sua cara Madonna, ci fa credere che fosse bastantemente e decorosamente fornito di sacre suppellettili. Dalle memorie della Visita Apostolica, eseguita da Mons. Binnarino il 25 Maggio 1576, apprendiamo solamente che l’Altare era costruito in legname: «Die 25 Mensis Maii 1576» «Reverendissimus Dominus Episcopus Camerinus Visitator apostolicae Sedis gratia, accessit, etc… Visitavit etiam oratorium nativitatis beatae Mariae magnae devotionis extra ostium castri emporii Florentinum erectam (sic) a societate Sancti Andreae de Emporio. In quo est unicum Altare ligneum et celebratur saepius ob devotionem, cum altare vero sacrato portatili, cura paramentis quae emuntur de elemosinis ».

Sappiamo però che era adorno di una considerevole quantità di voti. Così leggiamo a p. 107 nel Libro di Visita Pastorale –  Visitatio anni MDLXXXIX – scritto da Paolo Ceccarelli Canonico pistoiese e Cancelliere delle cause beneficiali nella Curia fiorentina, che l’8 Maggio di detto anno lo visitò, per commissione del Card. Alessandro Medici Arcivescovo di Firenze, il quale fu poi Papa col nome di Leone XI.

   « Oratorium Nativitatis Virginis Mariae, extra Castrum Emporii d. Plebatus Emporiensis ex devotione constructum, ad quod Christi fideles concurrunt, et venorantur Imaginem Virginis Mariae in pariete ipsius Oratorii pietam, antiquam, quae in festis Virginis Mariae et in aliis festivitatibus obstenditur populo; et gubernatur per Confratres Societatis S. Andreae in Propositura Emporiensi: quod oratorium est parvulum et pluribus votis plenum ».

                                 Costruzione di una tribuna ottagonale e di un loggiato in ampliamento dell’Oratorio.

   Rimanendo troppo augusto al concorso dei fedeli che specialmente nelle festività della Madonna vi concorrevano, venne ingrandito. Questo ampliamento avvenne l’anno l598, colle oblazioni del popolo. Lo fa sapere il Can.co Ceccarelli nei ricordi della Visita Pastorale a p. 195 r. e v., ove leggiamo: «Oratorium Nativitatis Beatae Mariae Virginis iuxta Emporium prope portam Florentinam ab anno citra auctum fuit Elemosinis Christi fidelium per Societatem S. Andreae, cuius est membrum. Hodie longitudinis brachiorum 24 in circa, latitudinis duodecim et altitudinis similiter brachiorum 12 in circa. Cum Testitudine conchamerata, et in dies perficitur. Ad cuius Altare requisitis decenter ornatum, saepe celebratur ex devotione, et quotidie ad dictum Oratorium accedit moltitudo Populorum».

I lavori si protrassero per vari anni; e in questo perfezionamento venne aggiunta una bella tribuna ottagonale con ampia cupola, dandone il disegno, e

forse lavorandovi egli stesso, m.o Andrea di Simone di Matteo Bonistalli empolese, detto Il Fracassa, (il quale era anche proprietario di una fornace, in

Empoli) nato il 30 Novembre 1566 e morto il 2 Dicembre 1643. Fu sepolto in Collegiata, ove fu associato da tutto il Capitolo. Il piombo della lanterna di detta cupola portava inciso il 1613 (come lo storico Don Luigi Lazzeri in alcuni suoi appunti ha preso ricordo) che, a mio avviso, dovrebbe indicare il complemento di tale opera, relativamente alla parte architettonica. Non saprei dire se quando, nel 1844, Lorenzo Gucci (o altri anterioramente o posterioramente) «accomoda la croce della cupola, e mette un pezzo nuovo, e fa un lattone massiccio alla metà del ferro e un altro al pari del pietrino » sia scomparsa questa data.

   Nei ricordi di Visita Pastorale di Mons. Marzimedici Arcivescovo di Firenze (Ved. Libro dal 1616 al 1618, in Archivio arcivescovile fiorentino)

leggiamo: Die 27 Iunii 1618 – Oratorium Nativitatis Virginis Mariae prope terram Emporii, dicti plebatus, ex devotione constructum, et totum testudineatum, habet Altare lateritium cum lapide sacrato inserto, omnibus requisitis ornatum, supra quod in medio tabulae est tabernaculum in pariete

extructum, in quo depicta est imago Virginis magnae devotionis et circa parietes ipsius oratorii sunt appensa plura vota cartacea argentea, et in tabellis; et altare ipsius est locatum sub arcu testudineato; nuper autem extructa fuit cupula ampia nondum perfecta, et altare praedictum removeri debet et sub cupula locari. Oratorium praedictum regitur eleemosinis, et est unitum Societati S. Andreae de Castro Emporii, et ad illum ex devotione celebratur». Il Lazzeri (Notizie della Chiesa, ossia Oratorio ecc ) dice : « La Tribuna è di figura ottagonale, e ogni parte del medesimo ottagono resta abbellita di archi di pietra, sostenuti da altrettanti pilastri (lesene) dello istesso ordine (stile dorico). Circonda quindi la tribuna un bel cornicione su di cui parimente sorgendo altri archi sostenuti da simili pilastri, vanno finalmente a formare con varie fascie una maestosa e molto elevata cupola, che rende l’Oratorio assai vago e quasi di nuova invenzione. Essendo in egual maniera adorna anche al di fuori, la detta cupola, fa bella comparsa a chi la rimira, specialmente di dentro la Terra, dalla Via Ferdinanda (oggi Giuseppe Del Papa), restandole totalmente di faccia. Quattro finestre poste nell’ordine superiore di detti archi, e abbellite di pietrami, illuminano suficientemente tutta la tribuna ».

   Ma la ricordata e desiderata traslazione dell’Imagine col suo tabernacolo, demolito il rimanente della parete dell’altare, non si effettuò prima della domenica in albis, 18 Aprile 1621. E ancora sotto la cupola, fu riedificato l’altare rimanendo la bocca del pozzo al suo luogo, chiusa da una lapide, nel pavimento dell’Oratorio, quasi sotto l’arco di prospetto dell’elegante tribuna.

   « Da qual tempo in qua, che fu la Domenica in Albis (del 1621) Lionardo di Alessandro Celli di Empoli, uno dei Fratelli di detta Compagnia, si prese a divozione il farvi ogni anno una festa ». (Vedi libro di tratte e partiti, segnato A, p. 86, in Archivio dell’Opera di S. Andr.).

   Maggiore ingrandimento, ancora, e venustà, acquistò l’Oratorio medesimo, quando si volle circondato, da tre lati, di un bel loggiato con arcate in pietra di stile toscano, lavoro pure, a quanto sembra, sul disegno dato dal Fracassa, che fu terminato nel 1661. (Ved. Libro D di Partiti della Compagnia di S. Andrea, in Archivio dell’Opera, p.119 v.).

                                      Istituzione della Confraternita di Maria SS. del Suffragio e di S. Carlo Borromeo.

   Dieci anni prima, era sorta, o aveva qui trasportata d’altrove la sua sede, una confraternita sotto il titolo di S. Maria SS. e S. Carlo Borromeo (6), fabbricando nell’Oratorio un nuovo Altare in onore del Santo Cardinale, Arcivescovo di Milano, a cui, in quel tempo, per i molti miracoli che a sua intercessione si operavano, la divozione, anche tra noi, era assai propagata, anzi direi, aveva raggiunto il massimo grado di religioso entusiasmo (7). Questa pia Associazione avendo per principale scopo il suffragare le Anime del Purgatorio, cominciò a render meglio ufìziato l’Oratorio, facendovi anche

celebrare molte Messe e recitandovi quotidianamente l’ufficio dei Morti all’un’ora di notte, specialmente per i defunti, suoi aggregati: e si disse Compagnia del Suffragio, e volgarmente: La Compagnia dei Cappellini, dal cappello pendente sulle spalle, che quei Fratelli portavano. Si estinse ben presto, ma fu ripristinata l’anno 1707con soli dodici uomini, il cui numero in seguito si accrebbe: e più tardi ancora divenne assai ragguardevole coll’accogliere anche le donne. Col Rescritto della SS. Vergine del Suffragio, esistente nella chiesa di S. Biagio, di Roma, di cui venne da quel momento a godere di tutti i benefici. Essendo, con le altre Compagnie della Toscana, stata soppressa per legge granducale nel 1785, riuscì poi a ricostituirsi nel 1792.

                                               L’Altare della Madonna decorato del titolo d’una cappellania

Piero di Giovanni Verdiani di Empoli, con suo testamento del 14 Giugno 1646, rogato da Ser Ottavio Martini, stabilì che « per il culto divino e per salute dell’anima sua, dopo la sua morte, e quella di sua moglie » venisse fondata una Cappellania, sotto il titolo di S. Pietro «nella Chiesa della Vergine Maria, fuor di Porta Fiorentina di Empoli » legando, a tale scopo, «tutto il casamento con orto, corte, pozzo et altre sue pertinenze, et habitature solite, poste fuor della Porta Fiorentina d’Empoli, luogo detto il Campaccio, nel quale di presente habita il detto testatore. Item, il pezzo di terra lavorativa vitiata e gelsata quivi contiguo, e con muro attorno, verso Empoli, et un altro pezzo di terra lavorativa, con qualche vite, luogo detto la punta in Naiana, sotto loro confini etc. » con obbligo in perpetuo ai Rettori di questo Beneficio di « celebrare, o fare celebrare ogni mattina, tanto in dì festivo che feriale nella chiesa predetta, all’altare della Beata Vergine, sul quale il testatore intende che sia fondato et eretto il titolo della Cappella, una Messa, il sacrifizio della quale sia sempre applicato per l’anima di detto testatore et di Maria Alessandra sua moglie ». L’erezione canonica di tale Cappellania avvenne il 31 Luglio 1659, per instrumento rogato da Ser Giovanni Antonio Vignali.

Il Capitano Tommaso Giovannetti di Lucca, abitante in Siena, il quale fu un tempo Governatore della Banda delle milizie empolesi, nel 1650, per devoto omaggio alla cara Madonna di Porta Fiorentina, inviò in dono, alla sua chiesa, ove forse, essendo in  Empoli, tante volte pregò e chiese grazie, una pianeta.

 E Luigi d’Andrea Zuccherini, dottore, filosofo, medico ed accademico fiorentino, Cancelliere della banda d’Empoli, e per qualche tempo anche Camarlingo dell’Opera di S.Andrea dello stesso paese, morto nel 1623, aveva, molti anni innanzi, donato una bella pila in marmo, per l’acqua santa, e fatta collocare presso la porta dell’Oratorio, ove tuttora rimane, la quale ha, nel piede, scolpito lo stemma della famiglia Zuccherini, e questa iscrizione: ALOISIUS. ZUCCHERINIUS. POSUIT.- A.D. MDCV.

Per devozione verso la Madonna, bramandolo, forse molti, e alcuni anche, come è imaginabile, disponendolo per testamento, si era cominciato a seppellire in quest’Oratorio, ma sembra che, probabilmente per la ristrettezza del luogo, non se ne proseguisse l’uso. Vi fu seppellito Domenico di Lorenzo Bolognese, morto il 12 Maggio 1620, il Prete Cesare di Pasquale Pancetti di Empoli, morto il 9 Settembre 1621, Giovanni Ma. di Carlo Giovannozzi, fiorentino, che fu ucciso di pugnale, sul Canto della Corona in Empoli, il 19 Giugno 1673, e forse alcun altro di cui non ci sovviene. E più tardi, quando sul cadere del sec. XVIII si vietò dalla legge civile il seppellire nelle chiese, ebber vari sepoltura qui nell’annesso chiostro, ove apposite epigrafi li ricordano. Al Pancetti fu messa questa iscrizione, in brutti distici, che ancor rimane, scolpita in una lastra di marmo, ma non sul luogo preciso della sepoltura, essendo stata più volte remossa.

    HIC TVMVLVS MODO MARMOREVS SIC OSSA TVETVR

CAESARIS HVIVS LOCI pancetii GENERIS

                     qvi  DOCTOR FUIT IVRIS ET INSUPER ILLE

                  TVTVM SECTANDO PRESBITER ATQVE FUIT

                     A.  D. MDCXXI

Il 22 Luglio 1913, in occasione della costruzione del nuovo impiantito, levatosi il marmo, si fece ricerca, scavando alquanto sotto il pavimento, delle ossa di questo morto, ma non vennero trovate, e nemmeno vi si scorse alcun segno che mostrasse essere stato sepolto qui alcun cadavere.

Costruzione di altari e del campanile.

Due altari in pietra furono costruiti alle pareti laterali, e nell’ornato con colonne d’ordine composito vennero racchiuse, come di presente si vede, due tele dipinte da Giovanni Morghen, fiorentino. Quello in cornu evangelii venne eretto, chiusa con muramento una porta ivi esistente, a spese di vari benefattori, e dedicato a S. Giovacchino il 1° Settembre 1741. Il quadro del Morghen porta effigiata anche S. Anna con la SS. Vergine, bambina; al di sopra del quale, in un cartello scolpito in detto ornato, si legge: generatio rectorvm benedicetvr. L’altro in cornu epistolae, lo edificarono a proprie spese alcune persone pie nel 1747, intitolandolo a San Giuseppe, sposo di Maria Vergine, di cui il quadro rappresenta il felice transito. Nel soprastante cartello, simile al ricordato, sono incise queste parole: epce qvomodo moritvr ivstvs. Domenico Magnani d’Empoli fece aggiungere al di sopra di questo, altro quadretto, rappresentante S. Pietro d’Alcantara, per sua speciale divozione. In questa occasione fu probabilmente demolito l’Altare, sopra ricordato, di S. Carlo Borromeo.

  Presso a questo tempo si cominciò a praticare in quest’Oratorio un divoto esercizio, che il popolo diceva la « Via Crucis della Madonna », ma di cui l’appellativo, propriamente, era « Vita Virginis », facendo dieci stazioni, con alcune divote preci dinanzi ad altrettanti quadretti disposti lungo le pareti, che rappresentavano i principali fatti della vita di Maria SS. Questi quadri si trovano oggi appesi alle pareti del corridoio che conduce alla cantoria.

Nel 1795si costruisce sul fianco destro dell’Oratorio stesso, tra l’ottagono e il loggiato, il campanile, a torre, come attualmente lo vediamo, per il quale la Compagnia del Suffragio somministrò scudi novanta, mentre il rimanente della spesa si sostenne con oblazioni raccolte nel popolo. A ricordo sta sul lato anteriore una lastra di pietra serena, scolpita a ricco lavoro, nella quale si legge: d. o. m. — societas — s. mariae SVFFRAGll — et — benefactores — anno domini — mdccxcv (8).In antecedenza alla fabbrica di questo campanile, assai svelto e bene architettato, vi erano « campanulae affixae supra tectum »; e a queste può forse riferirsi il ricordo, in data 1562, che trovasi nel libro di Debitori e Creditori dell’ Opera, segnato B: « Et per rifaccitura (sic) del campanello della Madonna Na. (Nostra) etc. ».

Andrea (9) Moreni di Castelvecchio di Pescia fondeva poi tre armoniose campane, che furon collocate nel campanile due anni appresso, come le iscrizioni incise nei loro giri ricordano. La spesa, che fu di scudi centocinquanta, secondo il consueto, si fece dalla locale Confraternita del Suffragio e da benefattori.

La campana maggiore, con le figure del Salvatore, di Maria assunta in cielo, di S. Giuseppe e lo Stemma dell’Opera di S. Andrea, porta scritto:  in – gloriam – dei – et – beat – virg -mariae – et – in – svffragivm – defvnct -pro – qvibvs – domine – exavdi – vocem – meam -et – clamor – mevs – ad – te – veniat – — aere – societatis – svffragii – et – benef – alex – tognozzi moreni – fvdit – a. MDCCIII

La campana mezzana, con l’arma dell’Opera suddetta e le imagini di S. Michele Arc.)., San Giovacchino e S. Anna, ha questa iscrizione :

pro – Popvlo – pro – clero – pro – devoto -foemineo – sexv – et – pro – defvnctis – vt – a – peccatis – solvantvr – — aere – societatis – svffragii – et – BEneF – — alex – tognozzi moreni – f – a. mdcciiic.

La minore tiene il medesimo stemma, le figure di S. Andrea Ap., di S. Lorenzo, di S. Niccolò da Tolentino, e scolpite queste parole:

sancta – et – salvbris – est – cogitatio – pro -defvnctis – exorare – beatvs – homo – qvi – AUDIT – me –  — aere – societatis – svffragii- et – benef.- alex – tognozzi moreni – f – a. Mdcciiic

 Furono consacrate il 13 Agosto da Monsignor Antonio Martini, Arcivescovo di Firenze, e collocate nella torre campanaria il 26 del medesimo mese ed anno sopra ricordati. Tra le persone che concorsero alla spesa di queste campane, va ricordata con encomio la Signora Anna Gaddi di Firenze, che esibì l’offerta di lire trecento.

In questo medesimo anno 1797 si demolì la cantoria, già costruita dalla Centuria della Madonna, sul fianco destro della tribuna, e fu riedificata sopra la porta d’ingresso dell’Oratorio. E nel 1802 sì acquistò un nuovo organo, nel quale si spesero anche, cumulandole alle offerte dei fedeli e della Compagnia del Suffragio, lire trecento che si ritrassero dalla vendita dell’organo antico. Lo fabbricò Luigi Franci di Prato. Nel 1804, poi, si fecero lavori di riattamento all’Altare.

Il Lazzeri, parlando della vecchia cantoria (not. cit.) dice: « In cornu Evangelii della suddetta tribuna vi è l’organo, e sotto vi resta una porta con stipiti e architrave di pietra, che introduce alla sagrestia, dalla quale si esce sotto i1 loggiato, dalla parte di levante ».

Nel 1807 si costruì una nuova stanza, sul lato sinistro, di fronte alla sagrestia per riporvi le sacre suppellettili, stanza che venne demolita nel 1913, quando a cura del Rev.mo Proposto della Collegiata e a spese dell’Opera di S. Andrea, si restituì al pristino stato l’ottagono, chiudendo la porta esterna laterale. Due anni prima era stato costruito dinanzi all’Oratorio il marciapiede in pietra, per maggior difesa del medesimo, come anche da tempo era chiuso da una cancellata in ferro il loggiato, che subì un importante restauro nel 1821.

Nel 1849 si fecero acquartierare in quest’ Oratorio le Truppe militari, con indicibile disgusto della popolazione empolese; fatto che indusse la Compagnia nell’adunanza del 3 Settembre di quell’anno, di avanzare reclamo alla locale Magistratura, onde volesse prendere gli opportuni provvedimenti, perché non tornasse mai più a ripetersi tale profanazione d’un luogo sacro, così caro al cuore dei fedeli paesani.

L’Oratorio sede di altre confraternite.

Altre congregazioni si erano andate costituendo  col volger degli anni, scegliendo qui, presso l’altare della Vergine, la loro sede: quella della centuria della Madonna, sorta nel 1702, che ebbe i propri capitoli approvati dall’Arcivescovo di Firenze nel 1704; del S.Cuore di Maria, arricchita di molte indulgenze da Benedetto XIV, con suo Rescritto 10 Febbraio 1746; di S.Giuseppe, nel 1831, la quale congregazione si assumeva l’onere annuale del Settennario, funzione in preparazione alla festa del Santo, quella delle Figlie di Maria, nel 1872, che ebbe assegnato, per le divote pratiche, l’altare di S.Giovacchino. Per lo zelo di tali Congregazioni, e più specialmente per la più volte ricordata Compagnia della Madonna e di S. Carlo, detta del Suffragio, e dei Cappellani che ufiziavano l’oratorio, erano state ottenute da Sommi Pontefici varie indulgenze, sia plenarie che parziali. Tra queste, le plenaria delle cinque principali feste della Madonna, indulgenza confermata in perpetuo da Pio IX, il 31 Luglio 1846, nel giorno festivo del Patrocinio di S. Giuseppe, e in occasione delle Quarantore, che ebbero l’anno suddetto una uguale perpetua conferma.

Nonostante questi ed altri privilegi concessi dai Papi e dagli Arcivescovi fiorentini, non si era potuto sino al1876 conservare a lungo nell’Oratorio l’Eucaristico Sacramento. Un Pontificio Rescritto, in data 4 Dicembre 1876, accordava che costantemente vi potesse esser conservato, con grande consolazione delle persone devote che vi frequentavano. E, da quel tempo, non è a dubitarsi che l’Oratorio stesso non divenisse ancor più frequentato ed ufiziato, quasi da uguagliare nelle funzioni e pratiche religiose che si esercitavano, le altre chiese del paese.

Restauro all’Oratorio e all’Imagine.

Nel 1897 si volle eseguire un restauro all’Oratorio; e in quell’occasione si fecero dei ritocchi all’lmagine della Madonna, che andava deperendo, per mano del valente pittore Dario Chini e fu un qualche poco inalzato il Tabernacolo della Vergine, rimanendo assai coperto dall’altare dopo il riattamento del 1804, come abbiamo sopra accennato.

    Nei restauri del 1913, in cui fu demolita, come sopra abbiamo ricordato, la stanzetta che dal lato di ponente era stata addossata alla tribuna, venne rinnovato, in marmo, all’ Oratorio, il pavimento, che anteriormente era in mattoni. Vi doveva essere incisa quest’iscrizione da me dettata; il che non fu fatto, nonostante si sia anche scritto che vi si trova: aere collato — piorvm civivm — sectis marmoribvs —stratvm — a. d. M    cmxiii.

   Con una decorosissima festa iniziale in onor della Vergine, nel giorno 21 Settembre, si restituiva solennemente al culto il restaurato Oratorio. In quella circostanza vi si leggeva sulla porta questa iscrizione dettata dal cav. prof. dott. Vittorio Fabiani:

nEl venvsto tempietto —che il secolo decimosesto vide eretto dalla pietà dei fedeli ed il vigesimo — NELLA pienezza della SVA AVRORA — PER la concordia di non DEGENERI Figli — e GIVSTA le norme dell’ARTE — vagheggia restavrato — entrate o EMPOLEsi — a Perpetvare con sacro rito — L’ avita devozione a Maria — cvi non ricorreste mai invano.

E del supplice, pio ricorso degli Empolesi alla Madonna qui venerata, nonché delle grazie per suo mezzo ottenute, eran testimonianza non incerta il gran numero dei voti appesi alle pareti dell’Oratorio, quando nei secoli XVI e XVII, come sopra fu ricordato, si potè dirlo « pluribus votis plenum » stantechè « circa parietes sunt appensa plura vota, cartacea argentea et in tabellis » (Vis. Past. cit.).

Oggi, di oggetti votivi non rimangono che cinque tavolette di più recente data (1775-1837) in cui sono, assai alla buona, riprodotti alcuni fatti di liberazione quasi prodigiosa, dall’imminente morte, di persone che nel momento del pericolo invocarono con piena fiducia il valido soccorso della Vergine effigiata nel suo Oratorio del Pozzo. Due di questi quadretti ricordano j nomi di Giovanni Zanola e di A. Mazzoni. (Vedi O. Pogni : Le Iscrizioni d’Empoli – Firenze, Tip. Arciv., 1910, pp. 120, 121, 122).

L’antichità dell’ Imagine, il culto, per secoli, a quella tributato dal popolo devoto, le tante grazie implorate nei momenti di privata e pubblica necessità, mossero l’animo dei RRdi. Padri Scolopi del Collegio Calasanzio di Empoli, ai quali, dal 1920, è stato per l’ufiziatura, ceduto l’Oratorio, e il Seggio della Compagnia del Suffragio, di cui è Correttore il P. Rettore di detto Collegio, Governatore il cav. uff. dott. Fabio Pandolfi e, da tanti anni, zelantissimo Camarlingo il cav. Pietro Cantini, a porger voti al Rev.mo Capitolo Vaticano perchè concedesse che la Imagine della Vergine fosse coronata con aureo diadema, offertole dal popolo Empolese. Così, con la erezione di un nuovo artistico altare in pietra, consacrato l’11 Maggio da Mons. G. Bonardi Vescovo di Pergamo e Ausiliare del Card. Arciv. di Firenze, e con la Incoronazione della Madonna per mano di Mons. Ugo Giubbi, Vescovo di S, Miniato, suddelegato da S. E. il Cardinale Arcivescovo Alfonso M. Mistrangelo, impedito di eseguire la solenne cerimonia, il voto di Empoli si compie tra la esultanza degli animi riconoscenti.

                                                ==========

(1) Rogò il testamento Ser Tice di Giovanni da Empoli. La Compagnia ne venne in possesso l’anno 1462, con altri cinque appezzamenti di terreno in luogo detto Grosseto in Empoli, lasciatole dallo stesso Piero.

(2) In Collegiata nel 1591 si faceva l’uffizio anniversario di Madonna Ricca di Pierone. (Libretto di entrata della cera, p. 5 in Arch. dell’Opera di Sant’Andrea).

(3) Se la figura in abito da pellegrino, nel luogo più degno, cioè alla destra della Vergine, rappresenta l’Apostolo S. Giacomo, a cui tanta devozione si ebbe nel medio evo, ci confermerebbe nel pensiero che le tre case costituenti il fabbricato dell’Albergo, fossero quelle tre che si erano scelte le Monache di S. Iacopo di Montelupo per trasferirvi il loro Monastero. Nel protocollo, segnato B, di Ser Benedetto di maestro Martino esistente nell’Archivio arcivescovile di Firenze, leggiamo invece che nel 1337 Uguccione di Pietro da Empoli diede loro un fondo posto fuor d’Empoli, inter duas stratas versus Ponturmum, perché vi fabbricassero il Convento. Non resta memoria dell’avvenuto trasferimento: ma, nell’uno e nell’altro caso, non sarebbe fuor di luogo il pensare che il tabernacolo sia stato costruito a cura di dette Monache.

(4) Questo pozzo ha otto metri di profondità.

(5) Di peste morì anche, l’8 Novembre di questo anno 1525, l’oste Jacopo di Cornacchino, padre di quel tale che teneva in affitto l’Albergo della Cerva quando avvenne l’incendio del medesimo, e nel precedente mese d’ottobre gli eran morti due figli e la moglie, per nome Albiera o Alfiera. E poi il 5 Dicembre morì la sorella di detto Jacopo.

(6)  Innanzi di stabilirsi qui, si dice che esistesse, col titolo di S. Donato e forse anche di S. Carlo nella Chiesa di Corniola, fino dal 1639, anno di sua fondazione: ma la notizia è assai incerta.

(7) In Empoli fu anche al Santo intitolata una via e una farmacia; all’Altare dell’Oratorio di S. Antonio, e al primo altare in cornu Evangelii, in Collegiata, stava la sua immagine.

Nella Chiesa Agostiniana, pure, oltre l’imagine, esisteva col titolo di S. Carlo una Compagnia.

(8) Nell’interno del campanile trovasi scritto così: Dea optimo, maxima ex piis largitionibus opus – anno Domini MDCCXCV.

(9) Alcuni documenti, tra cui una quietanza di mano del Proposto Del Bianco al Provveditore della Compagnia del Suffragio, danno il nome di Andrea: ma sulle campane è scritto quello di Alessandro.

                                                             ===========

Iscrizioni che verranno scolpite, la prima nel retro del nuovo altare, la seconda su lastra da collocare ad una delle pareti, nell’Oratorio. Le date che vi si leggono, seguano anche il principio ed il termine delle solenni feste per l’incoronazione dell’ Imagine della Madonna.

 I.

                                   IOACHIM . BONARDIUS . PERGAMEN . EPVS

                                             ET . EMIN . CARD . ARCHIEP . FLOREN . AVXIL .

                                                 IN . HON . B . MARIAE . VIRG . SACRAVIT

                                                                      XI  MAII . MCMXXIX

                                                                 

II.

                                                              D. U. T.

         ARAM  . MAXIMAM

                                                                                IN .  HONOREM . MATRIS . DEI

                                                                  SOCIETATIS . TIT . S .MARIAE . DE .  SUFFRAGIO

                                                                                       AC . PIORUM . EXPENSIS

                                                                                 MAGNIFICE . REAEDIFICATAM

                                                                 ILL.MUS .  ET . REV.MUS . DNS . IOACHIM . BONARDI

                                                                EPUS . PERGAMEN . ET . EMIN . ARCHIEP . FLOR . AVXIL.

                                                                                   XI . MENSIS . MAII . MCMXXIX

                                                                                               CONSECRAVIT

                                                                DIEQUE . FESTO . SS.TRINIT . XXVI . SEQVEN.

                                                              DE . REV.MI . CAPITVLI . VATICANI . FACULTATE

                                                             EMIN.MI . ALFONSI . M.AE CARD. MISTRANGELO

                                                                                      FLORENTINOR . ARCHIEP.

                                                                   SUBDELEGATIONIS . CAUSA . VICE . FUNGENS

                                                      ILL.MUS . ET . REV.MUS . DNS . HUGO GIVBBI .  MINIAT .  FPUS

                                                                            GESTIENTE . POPVLO . EMPORIENSI

                                                                           IMAGINEM . IN . PARIETEM . PICTAM

                                                                                     A PUTEO . NUNCUPATAM

                                                                   ANTIQVITATE . CVLTUQUE . PERILLUSTREM 

                                                               MAGNO . APPARATU . CIVIVMQUE . FREQUENTIA

                                                                 AVREA . SOLEMNITER . DECORAVIT . CORONA

                                  A.   M.   D.   G.           

Continua a leggere

GIO PONTI E IL DESIGN PER IL VETRO EMPOLESE

Comune di Milano

Civiche Raccolte Archeologiche

Association Internationale pour l’Histoire du Verre

Comitato Nazionale Italiano

Atti della III Giornata Nazionale di Studio

Il vetro fra antico e moderno, Milano 31 ottobre 1997, Milano 1999

STEFANIA VITI PAGNI

Vetro verde, collezione del Muve, Empoli
Foto Alena Fialova’

GIO PONTI E IL DESIGN PER IL VETRO EMPOLESE

Gio Ponti, noto architetto e industriai designer italia­no, nasce nel 1891 a Milano dove si laurea ed intra­prende la carriera di architetto. Facendo pratica con Mino Fiocchi ed Emilio Lancia, fino dagli esordi Ponti concentra i suoi interessi sull’architettura d’in­terni e sulla progettazione industriale: nel 1923 fonda il gruppo “Il Labirinto” insieme agli architetti Buzzi, Chiesa e Lancia; nello stesso anno ha inizio la sua carriera di direttore artistico preso la Manifattura Richard Ginori di Doccia, vicino a Firenze, ruolo che rivestirà fino al termine degli anni Trenta (1).

Continua a leggere

Alessandro Nesi: Andrea del Sarto a Sant'Ambrogio

ANDREA D’AGNOLO DI FRANCESCO, DETTO ANDREA DEL SARTO.

Firenze, 1486 – 1530.

Lo pseudonimo con cui è noto Andrea del Sarto deriva dal mestiere del padre Agnolo, mentre il cognome Vannucchi (o Vannucci) che spesso gli è stato riferito, non è attestato prima del XVII secolo, e non sembra quindi appartenergli. Se la sua famiglia ebbe effettivamente un cognome, questo fu piuttosto Lanfranchi, poiché così è chiamato in un documento del 1547 suo fratello Francesco (detto lo Spillo), anch’egli pittore 1. Vasari racconta gli inizi di Andrea con l’oscuro Gian Barile, che si accorse ben presto di non essere all’altezza delle capacità innate del discepolo, e lo mise in contatto con Piero di Cosimo. Ma la scuola più formativa fu l’ambiente artistico fiorentino d’inizio Cinquecento: la presenza di Michelangelo e di Leonardo, impegnati nei cartoni per le battaglie di Palazzo Vecchio, l’ascendente ancora forte del Perugino e le novità introdotte dal giovane Raffaello, unitamente alla pittura elegante e di grande respiro devozionale di Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli, furono elementi basilari per la cultura artistica del giovane pittore. Profonda fu l’amicizia di Andrea col Franciabigio, risalente certo alla prima giovinezza, poiché entrambi abitavano nel quartiere di Santa Maria Novella e provenivano dallo stesso ambiente sociale degli artigiani del tessuto. I due verso il 1506 aprirono una bottega nella piazza del Grano, ma poco tempo dopo la trasferirono presso la Basilica della Santissima Annunziata, dove nel 1509 Andrea iniziò ad affrescare le Storie di San Filippo Benizzi nel Chiostrino dei Voti, avviando un rapporto di committenza con i Servi di Maria destinato a protrarsi negli anni. Questi affreschi, nei quali seppe sintetizzare tutti gli stimoli raccolti fino a quel momento, ma che risultarono allo stesso tempo innovativi e straordinariamente piacevoli sul piano narrativo, gli diedero un’improvvisa popolarità, procurandogli numerosi committenti prestigiosi e fedeli nel tempo. Strinse ad esempio forti legami con gli eremitani agostiniani del convento fiorentino di San Gallo, e con i Benedettini Vallombrosani, ai quali era molto vicino anche il Franciabigio. Nella bottega aperta presso il convento servita nacque la cosiddetta “Scuola dell’Annunziata”, dove si formarono, a contatto con Andrea, il Pontormo, il Rosso Fiorentino e altri protagonisti della Maniera moderna. Sempre alla fine del primo decennio del Cinquecento Andrea iniziò una delle sue imprese decorative più importanti, destinata a protrarsi fino al 1526, la decorazione a monocromo del chiostro della Compagnia dello Scalzo, con Storie di San Giovanni Battista. Poiché alla sua morte, nel 1530, i confratelli dello Scalzo accompagnarono l’artista alla sepoltura, è stato ipotizzato che egli fosse un membro del sodalizio, così come risulta esserlo stato di altre confraternite fiorentine 2. A queste frequentazioni devote egli affiancò la partecipazione alle compagnie goliardiche ed erudite del Paiuolo e della Cazzuola, dedite a conviti e alla lettura e alla recitazione di testi antichi. Dopo un possibile soggiorno a Roma nel 1511 si collocano la prosecuzione della decorazioni dello Scalzo e del Chiostrino dei Voti e la realizzazione di importanti tavole come l’Arcangelo Raffaele con Tobiolo, San Leonardo e il committente (1512, Vienna, Kunsthistorisches Museum), l’Annunciazione per San Gallo (1512 ca., Firenze, Galleria Palatina), e lo Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria (1512 – 1513, Dresda, Gemäldegalerie), che segnano la prima maturità del suo stile. In questa fase il riflesso dell’antico e dei capolavori di Raffaello e Michelangelo visti probabilmente nell’Urbe si compenetra con una nota tipicamente fiorentina, derivante da Fra Bartolomeo e dall’Albertinelli, accentuata però con un’inquietudine che segna l’inizio della “maniera”, e ne sono esempi le Storie di Giuseppe per la Camera Borgherini (1515 – 1516, Firenze, Galleria Palatina), e alcune Madonne e Sacre Famiglie di destinazione privata. In questi dipinti il modo di costruire e caratterizzare le figure e di strutturare i panneggi si fa più complesso e definito, superando la morbidezza sfumata fino ad allora consona ad Andrea, e trova uno dei suoi fondamenti nello studio delle incisioni di Dürer e di altri tedeschi, all’epoca popolarissime in Firenze, e il culmine di questo momento stilistico è rappresentato dalla Madonna delle arpie (Firenze, Uffizi), datata 1517 e dalla contemporanea Disputa sulla Trinità per San Gallo (Firenze, Galleria Palatina). In quell’anno Andrea accetta l’invito di recarsi alla corte di Francesco I di Valois, grande estimatore di pittura fiorentina e che già era riuscito a procurarsi alcuni suoi dipinti, ma il soggiorno parigino termina presto e produce poche opere, delle quali resta la Carità del Louvre, siglata e datata 1518. Alla fine dell’estate del 1519 Andrea è nuovamente a Firenze, e nonostante la promessa al re di rientrare presto alla corte francese, non vi fa più ritorno. L’affresco con il Trionfo di Cesare nel salone della Villa del Poggio a Caiano (1522) inaugura una nuova stagione di committenze prestigiose in patria, e rinnova il suo contatto con i Medici dopo la partecipazione nel 1513 alla decorazione dei carri carnevaleschi delle Compagnie medicee del Broncone e del Diamante. Opera di grande impegno, il Trionfo faceva parte di un ciclo celebrativo mediceo, da realizzarsi insieme al Franciabigio e al Pontormo su programma iconografico di Paolo Giovio ma rimasto incompiuto alla morte di Leone X, e coniuga classicismo d’impronta romana e suggestioni derivanti dalle stampe tedesche. Alla prima metà del terzo decennio appartengono opere importanti quali la Pietà di Luco (1523, Firenze, Galleria Palatina), nuovamente attenta a Fra Bartolomeo, l’affresco con la Madonna del sacco nel Chiostro dei morti alla Santissima Annunziata (datato 1525), e la pala con l’Assunta commissionatagli da Bartolomeo Panciatichi per la chiesa di Nôtre – Dame du Confort a Lione, ma mai inviata a destinazione. La composizione di quest’ultima fu rielaborata in una seconda versione commissionata nell’aprile 1526 dai Passerini per la loro cappella in Santa Maria dei Servi a Cortona (Arezzo), e oggi entrambe le tavole sono nella Galleria Palatina. Nel 1526 si conclude il ciclo dello Scalzo, ed entro l’anno seguente si colloca la monumentale Ultima Cena nel refettorio dei Benedettini Vallombrosani di San Salvi, appena fuori Firenze. Quest’opera era stata allogata ad Andrea nel 1511 ma all’epoca egli aveva affrescato solo i tondi contenenti la Trinità e Santi nel sottarco della parete. La Cena fu subito considerata uno dei capolavori di Andrea, che per questo ramo dei Benedettini eseguì anche un’altra opera fondamentale, la cosiddetta Pala Vallombrosana del 1528 (Firenze, Uffizi). La propensione ad eseguire quadri per gli amici e i sodali delle compagnie goliardiche, indipendentemente dal loro livello sociale, portò Andrea a realizzare verso il 1528 un altro capolavoro, la Pala di Gambassi, dipinta per Becuccio Bicchieraio. Destinata al convento benedettino delle Romite di Gambassi (Firenze), oggi la tavola è nella Galleria Palatina di Firenze, mentre i piccoli tondi coi ritratti del committente e della moglie, che ne decoravano la cornice sono nell’Art Institute di Chicago.

L’attività matura di Andrea è costellata di sensibili ed efficaci ritratti, e da quadri di devozione privata con Madonne e Sacre Famiglie realizzati per le più importanti famiglie fiorentine. Su questi ultimi si fondò buona parte della fama postuma dell’artista, come si può dedurre dalle miriadi di copie e derivazioni che ne esistono. Tra le opere di maggior impegno dell’ultima fase si ricordano le versioni del Sacrificio di Isacco (Cleveland, Madrid e Dresda), i pannelli per la Pala di Sant’Agnese destinata all’omonima chiesa di Pisa (ora nel Duomo), e la grande pala destinata alla chiesa di San Francesco a Sarzana, la cui tavola principale è andata distrutta a Berlino durante la seconda guerra mondiale, e di cui rimane la lunetta con l’Annunciazione (Firenze, Galleria Palatina). Al momento della morte, avvenuta per peste il 28 settembre 1530, l’artista aveva in corso d’opera due Madonne e Santi, una per i Benedettini Vallombrosani della Badia di San Fedele a Poppi (Arezzo), terminata da un pittore locale che la datò 1540 (Firenze, Galleria Palatina), e l’altra per la chiesa di San Francesco a Pisa, in gran parte eseguita da Giovanni Antonio Sogliani (oggi nel locale Duomo).

Note

  1. La Porta 1990, p. 111. A tale data lo Spillo era ancora vivo, e quindi dovette comunicare egli stesso il proprio cognome agli estensori dell’atto.
  2. O’Brien 2004, pp. 258 – 267. Andrea appartenne alla Compagnia di San Sebastiano, e secondo alcuni anche a quella di San Jacopo del Nicchio, entrambe ubicate presso il Convento dell’Annunziata e vicine anche alla sua abitazione.

Bibliografia

Freedberg 1963. Shearman 1965. Monti 1965. Padovani 1986. Firenze 1986 – 1987. Natali – Cecchi 1989. Natali 1998.

Madonna col Bambino, i Santi Giovanni Battista e Ambrogio, e un angelo (Madonna di Sant’Ambrogio). Olio su tavola, cm. 168,5 x 132,6.

Provenienza: Dall’oratorio della Compagnia fiorentina di Santa Maria della Neve presso la chiesa di Sant’Ambrogio, il dipinto passò nel febbraio del 1620 nelle collezioni del Cardinale Carlo de’ Medici. Nell’Ottocento si trovava a Napoli, prima presso Giovanni Vincenzo Rogadeo di Torrequadra, e quindi presso Giuseppe de Vargas Machuca di Casapesenna. Ceduto agli antiquari Ehrich di New York fu esposto da Harold L. Ehrich nel 1930 al Detroit Institute of Arts, e nel 1932 alla Memorial Art Gallery di Rochester. Posto in vendita nel 1934, fu acquistato da Walter P. Chrysler. In seguito è passato presso Kyoto Ltd. a Londra e presso Stanley Moss & Company Inc. a New York, ed è entrato a far parte della Alana Collection nel gennaio 2011.

Giorgio Vasari nelle Vite ricorda che Andrea “prese a fare per gli uomini della Compagnia di Santa Maria della Neve, dietro alle monache di Santo Ambruogio, una tavolina con tre figure, la Nostra Donna, San Giovanni Batista e Santo Ambruogio”, che fu collocata sull’altare del loro oratorio 1. Come argomentò John Shearman in un saggio dedicato al dipinto nel 1961, la Confraternita committente, composta da ortolani, si era formata nel 1445 e nel 1480 aveva ottenuto dalle monache agostiniane di Sant’Ambrogio un terreno per poter edificare l’oratorio, che esiste ancora, annesso alla parte posteriore della chiesa, ma il cui interno è stato completamente rimaneggiato e non reca più traccia dell’altare che ospitava il quadro 2. Lo studioso riportò inoltre alcune citazioni storiografiche del XVII e XVIII secolo secondo le quali il dipinto era stato donato nel Seicento (senza indicare l’anno esatto) dai confratelli al Cardinal Carlo de’ Medici (1595 – 1666) e sostituito con una copia di Jacopo da Empoli. Alcuni documenti, tra i quali un inedito ricordo contenuto nel libro dei Capitoli della Compagnia, collocano invece con precisione l’episodio nel febbraio del 1620, e riferiscono che la copia fu donata dal cardinale stesso, il quale diede alla confraternita anche 200 scudi che servirono per opere di beneficenza 3. Da questo momento però si perdono le tracce del dipinto, ed esso non è citato nell’inventario dei beni posseduti dal cardinale stilato alla sua morte, né in quelli dei vari edifici dove egli visse nel corso degli anni 4. Quindi molto probabilmente egli lo donò o lo scambiò con altre opere d’arte per la sua collezione, come fece con altri quadri tra i quali una delle versioni del Sacrificio di Isacco dello stesso Andrea del Sarto, ceduto nonostante egli fosse un appassionato collezionista di pittura del primo Cinquecento fiorentino e in particolare proprio di Andrea 5. Attualmente si può soltanto escludere che egli lo donasse al suo “cavallerizzo maggiore” Carlo Gerini, nelle cui raccolte confluirono molte opere appartenute al cardinale, poiché gli inventari delle collezioni Gerini sono stati integralmente editi, e la Madonna di Sant’Ambrogio non vi è menzionata. Le successive vicende del quadro sono in parte riassunte nel catalogo della vendita Ehrich del 1934, dove vengono ricordati (sia pure con qualche imprecisione) alcuni dei suoi precedenti proprietari, cioè i nobili napoletani Giovanni Vincenzo Rogadeo conte di Torrequadra (1834 – 1899) e Giuseppe de Vargas Machuca principe di Casapesenna (1862 – 1940). Nel primo Ottocento la pala si trovava dunque a Napoli, ma attualmente non sappiamo quando essa vi giunse; non è però da escludere che possa esservi pervenuta già nel Seicento, poiché il cardinal Carlo ebbe intensi rapporti con la città a partire dal 1637, quando fu nominato “Protettore di Spagna presso la Santa Sede”. Le difficoltà che egli ebbe a riscuotere dai reali spagnoli la “pensione” collegata a tale ruolo lo portarono spesso a fare pressioni (direttamente o tramite i suoi ambasciatori) nei confronti dei vicerè spagnoli partenopei, e in tale contesto potrebbe giustificarsi l’eventuale dono di quest’opera.

Dal Rogadeo la tavola passò al De Vargas Machuca per questioni ereditarie, avendo quest’ultimo sposato una delle nipoti del primo, e in seguito fu ceduta all’antiquario americano Louis R. Ehrich (1849 – 1911) o a suo figlio Harold. Dal necrologio di Louis Ehrich (New York Times, 24 ottobre 1911) sappiamo che egli ogni anno faceva un lungo viaggio in Europa, spesso in compagnia del figlio, per acquistare opere d’arte (soprattutto dipinti) da presentare in vendita nella sua galleria sulla Fifth Avenue di New York. Molte di queste opere venivano poi cedute a grandi musei americani, dei quali gli Ehrich erano fornitori di fiducia, e Harold L. Ehrich cercò di far acquisire la pala al Detroit Institute of Arts, dove fu temporaneamente esposta nel 1930, e alla Memorial Art Gallery di Rochester, dove pure la presentò nel 1932, ma senza successo. Alla sua morte nel 1934 essa fu posta in vendita come autografa di Andrea del Sarto col resto delle sue raccolte, e acquistata da Walter P. Chrysler 6. Nel saggio del 1961 Shearman discusse principalmente la replica dell’Empoli, che si trovava allora nella chiesa parrocchiale di Saint Giles a Stoke Poges (South Buckinghamshire, England) 7, considerando il dipinto Chrysler soltanto una derivazione dal perduto prototipo sartesco, ma nel 2000 lo stesso studioso si espresse invece diversamente, sostenendone l’autografia. Le iniziali conclusioni di Shearman furono determinate dal fatto che a quell’epoca il quadro si presentava malamente ridipinto nella parte inferiore. Infatti la tavola fu gravemente danneggiata dall’alluvione che colpì Firenze nel 1557 sommergendo anche l’oratorio di Santa Maria della Neve, e che provocò la perdita di gran parte della pittura per circa un terzo dal basso. La zona danneggiata fu integrata con una serie di restauri antichi e recenti, fino al completo e pesante rifacimento con cui l’opera si presentava nel 2000. Dopo l’acquisto per la collezione Alana il restauro è stato affidato a Stefano Scarpelli, e l’intervento ha evidenziato nella zona in basso, sotto un moderno rifacimento, brani di una ridipintura eseguita con una tecnica e uno stile molto vicini alla pittura originale, e quindi di poco tempo successiva a quest’ultima. La parte maggiormente rimaneggiata nel tempo è stata il volto dell’angioletto seduto in basso, la cui fisionomia risulta esser stata cambiata almeno tre volte poiché della stesura originaria non era rimasto quasi nulla. Nella fotografia del catalogo di vendita Ehrich esso appare con tratti somatici quasi “rubensiani” e morbidi boccoli biondi (fig. 1), mentre nell’immagine pubblicata da Shearman nel 2000 si presenta con capelli castani e un’espressione sognante, ma con lineamenti piuttosto duri e schematici, prima che la pala fosse sottoposta all’ultimo restauro mostrava tratti somatici ancora diversi, ispirati al suo omologo nella copia dell’Empoli.

L’intervento ha comportato la fermatura del colore, sollevato su tutta la superficie pittorica a causa del modo in cui in passato era stato trattato il supporto ligneo, assottigliato e parchettato probabilmente negli anni trenta del Novecento. Esso è stato liberato dalla parchettatura, i numerosissimi spacchi sono stati risanati, ed è stato dotato di una struttura di sostegno che, pur conferendo solidità al supporto, consente ora i movimenti naturali del legno. Le lacune presenti sulla superficie dipinta liberata dai rifacimenti recenti (mentre sono stati mantenuti quelli cinquecenteschi) sono state trattate [tradurre con: treated] senza ricostruire le forme.

Dall’intervento è emerso inoltre che una striscia di 8 centimetri in alto e di 5 centimetri per ogni lato del supporto era in origine priva di colore, perché era in origine inserita nell’incorniciatura dell’altare. In basso tale fascia non compare, e il piede sinistro dell’angelo si spinge quasi a toccare il profilo della tavola, che si presenta in alcuni tratti irregolare, suggerendo che il quadro sia stato qui tagliato. Non sappiamo quando ciò sia avvenuto, ma probabilmente fu asportata la striscia di supporto che anche su questo lato doveva presentarsi priva di pigmento, e forse anche una piccola porzione di superficie pittorica. Le altre zone pertinenti alla battitura della cornice furono in seguito ritoccate ampliando le strutture architettoniche di sfondo e completando piccole parti dei panneggi alle spalle dei due Santi, alterando quindi le dimensioni originali. Infatti la replica dell’Empoli non include queste aggiunte, mentre un’altra derivazione seicentesca conservata nel Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno (Arezzo) non presenta quelle sui lati e in alto, ma in basso mostra un pavimento a scacchiera che si spinge ben al di sotto del piede sinistro dell’angelo, e pare essere un’invenzione dell’anonimo copista 8. Vasari ricorda la pala di Sant’Ambrogio poco prima della Madonna delle Arpie, commissionata nel 1515 e datata 1517, con cui il quadro Alana condivide l’ambientazione architettonica della nicchia poco profonda messa al centro da pilastri. Una datazione prossima alla tavola degli Uffizi pare comunque la più conveniente anche per le forti analogie che legano i due dipinti riguardo alla stesura pittorica e alla caratterizzazione somatica ed espressiva dei personaggi. Il volto di San Giovanni nel quadro Alana, con le occhiaie profondamente segnate, la bocca accuratamente profilata e i piani del volto complessi e sensibili alla luce, si presenta infatti analogo per concezione strutturale a quello del San Francesco nella Madonna delle Arpie. Le similitudini appaiono comunque assai stringenti anche con altre opere datate dalla critica allo stesso momento in cui Andrea aveva ormai superato lo sfumato ricco e morbido degli esordi per orientarsi verso uno stile pittorico plasticamente più definito, quali ad esempio la Madonna col Bambino e San Giovannino della Galleria Borghese di Roma. Sembra troppo anticipata la cronologia verso il 1514 – 1515, suggerita per la Madonna di Sant’Ambrogio da Shearman (sulla base della copia dell’Empoli) poiché un affresco di Ridolfo del Ghirlandaio nella Villa Agostini a Colleramole (Firenze) “painted not later than the first months of 1516” ne riprenderebbe con esattezza la composizione, dal momento che le affinità tra le due opere non appaiono così stringenti. Forse più evidente è la citazione (sempre suggerita da Shearman) della figura del Battista nel San Girolamo di una Sacra conversazione datata 1520, opera documentata del romagnolo Michele Bertucci e conservata in Palazzo Piancastelli a Fusignano (Ravenna) 9, ispirata a prototipi fiorentini del secondo decennio del Cinquecento, sia di Andrea stesso che di Fra Bartolomeo. Altre derivazioni con varianti, ma più tarde, possono essere individuate nella Madonna col Bambino, i Santi Benedetto e Bernardo degli Uberti e un angelo musicante di Pierfrancesco Foschi nella chiesa di San Barnaba a Firenze e in una Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Gualberto e Bernardo degli Uberti di Maso da San Friano nel Museo del Cenacolo di San Salvi a Firenze, mentre molto più attenta al prototipo è la citazione delle figure della Vergine e del piccolo Gesù in una Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Lorenzo firmata da Francesco Brancadori e conservata nella chiesa di San Bartolomeo a Galliano di Barberino del Mugello (Firenze) 10. Alla Madonna di Sant’Ambrogio sono stati collegati tre disegni per le figure dei Santi laterali, dei quali il più noto è conservato agli Uffizi (325 F)(fig. 2), ed è uno studio per il San Giovanni Battista che fu ritenuto preparatorio per la pala da Bernard Berenson in base alla descrizione vasariana, senza che egli conoscesse alcuna delle versioni dipinte 11. Shearman (1961) ritenne il foglio ispirato ad un modello in creta di Jacopo Sansovino, che a detta del Vasari fornì spesso ad Andrea abbozzi di questo tipo per lo studio di pose e gesti dei personaggi dei suoi quadri, e accostò alla pala gli altri due disegni collegandoli alla figura di Sant’Ambrogio: uno al Louvre (n. 1726)(fig. 3), preparatorio per la testa, e uno nel Kupferstichkabinett di Berlino (n. 5133)(fig. 4), con un garzone accomodato nella posa che poi assumerà il Santo nella pala 12. Secondo Shearman Andrea avrebbe usato il modello sansoviniano anche per il Battista dell’affresco con la Predica del Chiostro dello Scalzo, riproducendolo però da una differente angolazione. Il disegno di Berlino è il frammento di uno studio più complesso, che però non comprendeva sulla sinistra la figura della Vergine col Bambino come asserì Shearman, ma piuttosto il Battista, la cui mano in atto di indicare si riconosce molto bene. Le dimensioni del foglio, la tecnica esecutiva e il tipo di carta sembrano compatibili col foglio n. 325F degli Uffizi, con il quale il disegno berlinese poté forse in origine costituire un tutt’uno. Infatti, mentre il foglio degli Uffizi ha un profilo lineare a sinistra ed irregolare invece a destra, quello del Kupferstichkabinett presenta una situazione esattamente opposta. Nel caso, però, al centro dovevano esserci altri schizzi, poi in parte eliminati, come suggeriscono gli altri dettagli della mano e del panneggio del San Giovanni. Il foglio del Louvre, molto danneggiato, fu ritenuto da S.J. Freedberg preparatorio per un affresco del Chiostrino dei Voti alla Santissima Annunziata, e lo stesso Freedberg collegò alla pala anche un disegno del Louvre (RF 76), che da altri è stato invece messo più convincentemente in rapporto con la Disputa sulla Trinità della Galleria Palatina 13. A mio vedere potrebbe semmai essere avvicinato al dipinto il disegno n. 14425F degli Uffizi, che mostra una mano reggente la parte alta di un libro, molto simile alla destra del Sant’Ambrogio. A proposito di questo santo, nel quadro, è interessante notare che nel gallone del suo piviale sono rappresentati i Santi Cosma e Damiano, patroni della famiglia Medici. Dalle carte d’archivio non emergono però altri legami tra la confraternita di Santa Maria della Neve e i regnanti fiorentini, e dunque il dettaglio rimane per il momento privo di spiegazione.

Note:

  1. Vasari – Milanesi, V, pp. 17 – 18.
  2. Shearman 1961, pp. 225 – 226.
  3. Archivio di Stato di Firenze, Capitoli delle Compagnie soppresse, 606, c. 55r: “Havendo la nostra Compagnia donato all’Illustrissimo et Reverendissimo Signore Cardinale de’ Medici Principe Don Carlo, figliuolo del Serenissimo Ferdinando Medici Gran Duca di Toscana di felice memoria, una sua tavola che haveva appresso di sé, una Madonna fatta di mano di Andrea del Sarto eccellentissimo pittore fiorentino. Ma perché la mano del Signore Dio non è abbreviata, et spiritus ubi vult spirat, di qui è che non volendo S.S. Illustrissima esser vinta da noi di cortesia, ci ha ricompensato con una copia di detta tavola fatta per mano di Jacopo da Empoli, quale si è messa sopra lo medesimo altare nel luogo di quella, et così ancora ha remunerato con scudi dugento di moneta di lire 7 per scudo”. Il libro dei capitoli della confraternita è peraltro menzionato in Shearman 1961, p. 226. Il ricordo è datato 1 febbraio 1619 (1620 in stile comune), e trova conferma nel mandato di pagamento fatto fare dal cardinale il 25 gennaio 1620 a favore del sodalizio, “Addì detto (25 gennaio 1619, 1620 in stile comune). Per lemosina alla Compagnia di Santa Maria della Neve in S. Ambrogio, scudi 200 per depositarsi ad effetto di maritare dei frutti due fanciulle l’anno, e questo stante il Quadro che la medesima Compagnia concede a Sua Signoria Illustrissima”. Questo documento è conservato in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5269 a, c. 595v (1201), ed è stato indicato in Fumagalli 2001, p. 250. Ringrazio Elena Fumagalli per alcune fondamentali delucidazioni sulla documentazione relativa al prelato mediceo.
  4. Shearman (1961, p. 226) citò l’inventario del Casino mediceo di San Marco stilato alla morte del prelato, e pubblicato integralmente in Barocchi – Gaeta Bertelà 2005, III, pp. 1095 – 1159, e alcuni inventari di residenze romane, verificati da chi scrive.
  5. Attestazioni della predilezione del cardinale per Andrea sono discusse in Shearman 1961, p. 226 (dov’è riportata anche la vicenda relativa al Sacrificio di Isacco), Fumagalli 2001, p. 250, e Padovani 1994, pp. 383 – 392.
  6. Per la vendita Ehrich cfr. Important Paintings by Old Masters from the Ehrich Collection, 1934, p. 60, dove il Santo di destra è identificato come Agostino. Per il passaggio a Chrysler si veda invece Freedberg 1963, p. 49.
  7. Il dipinto dell’Empoli, ceduto dalla confraternita alla fine del Settecento come originale di Andrea del Sarto, fu a lungo creduto tale anche in alcuni dei suoi successivi passaggi sul mercato dell’arte. La sua storia completa è narrata in Shearman 1961, mentre le sue vicende successive a tale data sono riassunte nel catalogo Christie’s Londra, 11 dicembre 1984, p. 235, quando il quadro fu posto in vendita dalla chiesa di Stoke Poges.
  8. Il dipinto, che si trova tuttora a San Giovanni Valdarno è citato in Shearman 1961, p. 226, Freedberg 1963, p. 49, e Shearman 1965, p. 225, come disperso. E’ discusso e riprodotto in Sacchetti Lelli 2005, p. 111, ma senza che in questa pubblicazione divulgativa sia notata la derivazione dal prototipo sartesco, e inoltre il Santo di destra è indicato come Bernardo degli Uberti.
  9. Per entrambe le presunte derivazioni cfr. Shearman 1965, p. 226.
  10. La citazione nel dipinto del Foschi è già indicata in Shearman 1965, p. 226, mentre per quella del Brancadori cfr. Padovani in Firenze 2008, p. 241.
  11. Freedberg 1963, p. 48 e Petrioli Tofani in Firenze 1986 – 1987, pp. 209 – 210, con altra bibliografia. Del foglio esiste una copia antica alla Christ Church di Oxford (Byam Shaw 1976, pp. 56 – 57).
  12. Shearman 1961, p. 226.
  13. Cfr. Freedberg 1963, pp. 48 – 49, e Cordellier 1986, pp. 39 – 40.

References:

New York 1934, pp. 60 – 61.
Shearman 1961, pp. 225 – 230.
Freedberg 1963, pp. 47 – 49.
Shearman 1965, pp. 225 – 226.
Monti 1965, pp. 61 – 62.
Ragghianti Collobi 1974, p. 114.
Cordellier 1986, pp.
Natali 1998, p.
Shearman 2000, pp. 124 – 128.
Fumagalli 2001, p. 250.
Natali 2004, pp. 50 – 51.

Bibliografia estesa:

-P. Barocchi – G. Gaeta Bertelà, Collezionismo mediceo e storia artistica, II, Il cardinale Carlo, Maria
Maddalena, don Lorenzo, Ferdinando II, Vittoria della Rovere
, Firenze 2005.
-J. Byam Shaw, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford, Oxford 1976.
-D. Cordellier, Hommage à Andrea del Sarto, catalogo della mostra (Parigi 1986 – 1987), Parigi 1986.
-Firenze 1986 – 1987: Andrea del Sarto 1486 – 1530. Dipinti e disegni a Firenze, catalogo della mostra
(Firenze 1986 – 1987), Milano 1986.
-Firenze 2008: Firenze e gli antichi Paesi Bassi 1430 – 1530. Dialogo tra artisti: da Jan van Eyck a
Ghirlandaio, da Memling a Raffaello…
, catalogo della mostra (Firenze 2008) a cura di B. W. Meijer,
Livorno 2008.
-S.J. Freedberg, Andrea del Sarto, Cambridge (Mass.) 1963.
-E. Fumagalli, Collezionismo mediceo da Cosimo II a Cosimo III: lo stato degli studi e le ricerche in corso,
in Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo, atti della giornata di studio
dedicata a Giuliano Briganti (Roma 1996), a cura di O. Bonfait, M. Hochmann, L. Spezzaferro e B. Toscano,
Roma 2001, pp. 239 – 255.
-New York 1934: Important Paintings by Old Masters from the Ehrich Collection, New York, American Art
Association, Anderson Galleries 1934.
-P. La Porta, “Sir Spillo” fratello d’Andrea del Sarto: un contributo, in “Bollettino d’arte”, 66, 1990, pp.
111 – 116.
-R. Monti, Andrea del Sarto, Milano 1965.
-A. Natali – A. Cecchi, Andrea del Sarto. Catalogo completo dei dipinti, Firenze 1989.
-A. Natali, Andrea del Sarto. Maestro della “maniera moderna”, Milano 1998.
-A. Natali, Il leggìo del maestro. Andrea del Sarto modello dei pittori riformati, in Jacopo da Empoli 1551 –
1640, pittore d’eleganza e devozione
, catalogo della mostra (Empoli 2004), a cura di R.C. Proto Pisani, A.
Natali, C. Sisi, E. Testaferrata, Cinisello Balsamo 2004, pp. 43 – 55.
-A. O’Brien, Andrea del Sarto and the Compagnia dello Scalzo, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen
Institutes in Florenz”, XLVIII, 2004, pp. 258 – 267.
-S. Padovani, Andrea del Sarto, Firenze 1986.
-S. Padovani, Andrea del Sarto. Una conferma per l’Annunciazione di San Godenzo, in Hommage à
Michael Laclotte
, Milano 1994, pp. 383 – 392.
-L. Ragghianti Collobi, Il Libro dei Disegni del Vasari, Firenze 1974.
-L. Sacchetti Lelli, Opere conservate nelle chiese cittadine, in Museo della Basilica di Santa Maria delle
Grazie, San Giovanni Valdarno. Guida alla lettura delle opere
, San Giovanni Valdarno 2005.
-J. Shearman, A lost Altar-piece by Andrea del Sarto. ’The Madonna of S. Ambrogio’, in “The Burlington
Magazine”, CIII, 1961, pp. 225 – 230.
-J. Shearman, A lost Altar-piece by Andrea del Sarto,’The Madonna of S. Ambrogio’ (part II), in Festschrift
für Konrad Oberhuber
, a cura di A. Gnann e H. Widauer, Milano 2000, pp. 124 – 128.
-J. Shearman, Andrea del Sarto, Oxford 1965.
-G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori, scultori et architettori,(1568), edizione a cura di G. Milanesi,
Firenze 1878 – 1885.

Le immagini:

Fig. 1 – Andrea del Sarto, Madonna di Sant’Ambrogio, stato in cui si presentava nel 1934.
Fig. 2 – Andrea del Sarto, San Giovanni Battista,
Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.
Fig. 3 – Andrea del Sarto, Profilo di vecchio, Parigi, Cabinet des Dessins du Louvre.
Fig. 4 – Andrea del Sarto, Garzone in posa per il Sant’Ambrogio,
Berlino, Kupferstichkabinett.





Vittorio in visita…

VITTORIO SGARBI IN VISITA ALLE MOSTRE DEGLI UFFIZI E DI PALAZZO PITTI

Firenze, 8 gennaio 2020

Tour di due ore, accompagnato dal direttore Schmidt, alle esposizioni: Plasmato dal Fuoco e Pietro Aretino

Vittorio Sgarbi in visita alle mostre di Palazzo Pitti e degli Uffizi. Lo storico dell’arte, ieri pomeriggio a Firenze, è stato accolto dal direttore Eike Schmidt che ha fatto gli onori di casa e l’ha guidato per un tour di due ore tra le esposizioni Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici al Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti e Pietro Aretino e l’arte nel Rinascimento nell’aula Magliabechiana degli Uffizi. Il critico d’arte ha salutato i dipendenti incrociati lungo il percorso e ammirato le sculture in bronzo di Massimiliano Soldani Benzi, di Giovan Battista Foggini, Pietro Tacca e del Giambologna. Sgarbi è rimasto piacevolmente colpito dalla mostra che chiuderà il prossimo 12 gennaio e vanta più di cento prestiti internazionali.

Poi, una volta agli Uffizi, si è detto sorpreso dal numero di capolavori presenti nella mostra Pietro Aretino e l’arte nel Rinascimento, in larga parte di proprietà delle Gallerie degli Uffizi, come il ritratto del poliedrico intellettuale che, nel 1545, dipinse Tiziano.

Ufficio stampa Gallerie degli Uffizi

Opera Laboratori Fiorentini – Civita

Andrea Acampa, tel. 055 290383, cell. 348 1755654, a.acampa@operalaboratori.com

Tommaso Galligani, tel. 055 290383, cell. 3494299681, t.galligani@operalaboratori.com

Marta Questa su Leonardo Savioli

Leonardo Savioli ed il villaggio Sant’Umiltà a Firenze

Quartiere di Varlungo, villaggio di Sant’Umilà. Foto di Ivo Patu

Erano gli anni Sessanta del Novecento quando l’architetto Leonardo Savioli presentava al Comune di Firenze un progetto per la realizzazione di edifici di civile abitazione con relative autorimesse in località Varlungo, fra  via Aretina e due nuove strade ad essa perpendicolari , più tardi denominate via Antonio Salandra e via Filippo Turati, nel nuovo quartiere di Sant’Umiltà, progetto che sarà successivamente ampliato. Si trattava di un complesso residenziale che veniva costruito su terreni di proprietà del Monastero delle Suore benedettine vallombrosane dello Spirito Santo di Varlungo, il cui ordine risaliva a Rosanese Regusanti , una nobildonna nata a Faenza nel 1226 ed ancora oggi venerata con il nome di Sant’Umiltà, il cui corpo in quegli anni era conservato nel Monastero di Varlungo.

Continua a leggere

Amedeo torna a Livorno: le interviste

Modigliani e l’avventura di Montparnasse

Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre

 Livorno – Museo della Città

7 novembre 2019 – 16 febbraio 2020

La grande retrospettiva nella città natale dell’artista in occasione del centesimo anniversario della sua scomparsa

E’ stata presentata oggi, alla presenza del sindaco di Livorno Luca Salvetti, dell’assessore alla cultura Simone Lenzi, del curatore della mostra Marc Restellini e del coordinatore del progetto Sergio Risaliti la mostra  Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre.

L’esposizione, fortemente voluta dal Comune di Livorno, ha l’obiettivo di far ritornare nella sua città natale “Dedo” in occasione del centesimo anniversario della sua scomparsa. Era il 22 gennaio 1920 quando Amedeo Modigliani è ricoverato, incosciente, all’ospedale della Carità di Parigi dove muore, due giorni dopo, all’età di 36 anni, di meningite tubercolare, malattia incurabile al tempo, che era riuscito, miracolosamente, a sconfiggere vent’anni prima.  Il giorno della sua morte Parigi e il mondo intero perdono uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Con il suo stile inconfondibile era riuscito a rendere immortali i suoi amici, le sue compagne e amanti, i collezionisti e i volti ‘eroici’ dei figli della notte parigina.

Continua a leggere

Michelangelo, Tiberio Calcagni, e la Pietà fiorentina

WILLIAM E.  WALLACE

Michelangelo, Tiberio Calcagni, e la Pietà  fiorentina

Michelangelo, Tiberio Calcagni, and the Florentine “Pietà”

William E. Wallace, Artibus et Historiae

Vol. 21, No. 42 (2000), pp. 81-99

Trad. Andreina Mancini e Paolo Pianigiani (settembre 2019)

Ringrazio il Professor Wallace per avermi gentilmente permesso di tradurre il suo articolo e di pubblicarlo sul mio sito http://www.ilraccontodellarte.com

Paolo Pianigiani


In uno dei suoi sonetti più conosciuti Michelangelo fece questa riflessione: “Non ha l’ottimo artista alcun concetto/c’un marmo solo in sé non circonscriva/ col suo superchio, e solo a quella arriva/ la mano che ubbidisce all’intelletto …”1 A partire dal commento di Benedetto Varchi nel XVI secolo, questa poesia è stata la pietra miliare per interpretare la teoria artistica di Michelangelo. Inoltre, è in parte responsabile di un’immagine onnipresente dell’artista al lavoro: scolpendo il marmo Michelangelo ha semplicemente liberato una figura completamente imprigionata all’interno di un blocco appena sbozzato.2 Allo stesso modo, Giorgio Vasari ha descritto vividamente ma in modo impreciso la scultura di Michelangelo come un graduale uscire fuori dal blocco, come una figura che emerge mentre viene sollevata a poco a poco da una vasca d’acqua.3 Queste sono immagini avvincenti della creazione ma hanno poco a che fare con le realtà dello scolpire il marmo. La maggior parte delle sculture di Michelangelo, e in particolare la Pietà fiorentina [Fig. 1], racconta una storia più tortuosa e talvolta frustrata di dare vita a un materiale resistente e privo di spirito.

Continua a leggere